Edmondo Bruti Liberati (foto LaPresse)

Circo in toga

Redazione

Il botto in procura, la baruffa inaudita tra Bruti Liberati, procuratore di Milano, e il suo (ormai ex) procuratore aggiunto, Robledo, assume ogni giorno di più i tratti grotteschi ed emblematici di una malattia di cui il Csm ipercorrentizzato presieduto da Michele Vietti si è pilatescamente lavato le mani.

Il botto in procura, la baruffa inaudita tra Edmondo Bruti Liberati, procuratore di Milano, e il suo (ormai ex) procuratore aggiunto, Alfredo Robledo, assume ogni giorno di più i tratti grotteschi ed emblematici della malattia, una malattia di cui il Csm ipercorrentizzato presieduto da Michele Vietti si è pilatescamente lavato le mani, mesi fa, invitando semplicemente i magistrati di Milano, quasi fossero poveri monelli cui basta un paternalistico rabbuffo, a far pace. Altro che pace! Come una patologia infettiva a largo raggio, questa contesa perniciosa, deflagrata nell’ufficio un tempo simbolo delle Mani pulite, adesso, tra lazzi e urla, delegittimazioni e insulti, si estende alla procura di Brescia che indaga – nientemeno – su Bruti Liberati, cioè sul procuratore capo. Botti su botti. La faccenda è spinosa, opaca, ha il sapore contorto di un regolamento di conti interno fra togati dall’ego ipertrofico, uomini e donne cui nessuno ha la voglia, o la forza, di dire basta. La procura che fu di Francesco Saverio Borrelli e di Manlio Minale si è mossa per anni con il passo della falange capace di colpire come un sol uomo, era il gruppo di magistrati che ha abbattuto il sistema della Prima Repubblica, piegato il terrorismo: una squadra di quaranta, poi ottanta, infine quasi cento pm governati con carisma da capi riconosciuti per autorevolezza. E tutti sanno cos’è diventata oggi per effetto delle manie di protagonismo che hanno infiammato Ilda Boccassini (protetta da Bruti Liberati) e Alfredo Robledo (spalleggiato da altri colleghi più giovani): il procuratore aggiunto che non parla con il procuratore capo, i dipartimenti che non collaborano tra loro ma si accusano l’un l’altro di “confondere” e “intralciare” le indagini sull’Expo, poi la faccenda dei conti correnti, e ancora gli esposti, i silenzi rabbiosi, il vuoto nei corridoi, gli sguardi sospettosi, e infine i surreali doppi pedinamenti, i pasticci, le sovrapposizioni d’indagine che riempiono le pagine dei giornali a maggior disdoro dell’intera magistratura.

 

E il Csm che fa? Nulla. Quest’organo costituzionale, di cui in questi giorni il Parlamento non riesce nemmeno a completare i ranghi, dovrebbe assicurare l’autonomia dell’ordine giudiziario. E invece è la garanzia del suo disordine. Lottizzato peggio della Rai, governato da un sistema di micro partitini togati interessati soprattutto alla spartizione degli incarichi direttivi negli uffici giudiziari, il Consiglio superiore della magistratura non aveva (e non ha) interesse a dirimere la baruffa che ha sfasciato la procura di Milano. Per ragioni che hanno a che vedere soltanto con una logica da mercatino crepuscolare, per non turbare il precario gioco d’incastri nella spartizione degli incarichi direttivi, il Csm ha deciso di non decidere. Poteva rimuovere Bruti o Robledo o Boccassini o tutti e tre. Ma non conviene. Meglio dare questo spettacolo da circo giudiziario.

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