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La rivincita americana sul lavoro è arrivata, anche senza sindacati e art. 18

Redazione

I 248 mila nuovi posti di lavoro creati a settembre negli Stati Uniti hanno rivitalizzato le Borse mondiali. Ma la svolta va al di là dei numeri

Roma. I 248 mila nuovi posti di lavoro creati a settembre negli Stati Uniti hanno rivitalizzato le Borse mondiali. Le parole di Mario Draghi, che pure giovedì scorso ha dato via libera agli acquisti di bond cartolarizzati da parte della Banca centrale europea, le avevano depresse per l’evidenza dei limiti della politica monetaria su quella reale. La svolta va al di là dei numeri: abitualmente i mercati festeggiavano le cattive notizie dell’occupazione americana nella prospettiva che rallentassero l’abbandono della politica accomodante della Federal Reserve. Alla stessa maniera il protrarsi della stagnazione europea – ora chiaramente denunciato da Draghi – è stato a lungo interpretato come viatico al bazooka dell’Eurotower, sia pure con i limiti imposti dalla Germania. Stavolta tutto il contrario: applausi alle performance muscolari degli Stati Uniti, dove la disoccupazione è scesa sotto al 6 per cento, ai livelli pre-Lehman Brothers, il pil del secondo trimestre è aumentato del 4,6 e la crescita a fine anno è stimata al 2,5 per cento. Paragone impietoso con il misero 0,3 del pil dell’Eurozona, mentre in Germania calano la fiducia e gli ordini dell’industria. Eppure in America nel pieno della crisi erano stati tagliati anche 800 mila posti di lavoro al mese, compreso il settore pubblico. Un ritmo da Grecia, senza la Troika. Cinque anni dopo il saldo è di dieci milioni di occupati in più. Evocare il modello Marchionne dall’Italia, con Matteo Renzi che riapre per due ore la Sala verde di Palazzo Chigi a sindacati e imprese, è perfino scontato. Ma non dice tutto.

 

Per salvare la Chrysler la Casa Bianca e il governo canadese anticiparono 7,6 miliardi di dollari, interamente rimborsati. E il sindacato interno aveva rischiato il fondo previdenziale per comprare il 20 per cento delle azioni: anche quelle riacquistate da Marchionne con una ricca plusvalenza per i lavoratori. Un mix di capitali pubblici, lungimiranza sindacale e marchionnesca sfrontatezza. Altrove, come alla Millennium Steel nell’Indiana, scelta da Barack Obama per illustrare la rinascita dell’industria manifatturiera americana, le cose si sono raddrizzate semplicemente grazie al mercato, a cominciare da quello del lavoro e dalla sua totale flessibilità. Millennium Steel è fornitrice in monopolio della Toyota, che l’avrebbe cancellata dal giorno alla notte se non avesse creduto nella capacità di auto-rigenerazione del sistema. A chi si sta lacerando su tfr in busta paga, articolo 18 e concertazione può essere utile ripetere che negli Stati Uniti non esiste nessuna di queste tre cose. Compreso il fatto che i sindacati, che pure sono tra i maggiori finanziatori del Partito democratico, non hanno diritto di accesso diretto al Congresso se non attraverso i loro lobbisti: e d’altra parte rappresentano ormai il 12 per cento dei lavoratori. Insomma, gli Stati Uniti sono già oltre le famose riforme del lavoro della Germania; anzi della Germania stessa. Certo, non hanno il vincolo del deficit (pure sceso dal 10 al 3-4 per cento), mentre hanno una Banca centrale vera. Ma soprattutto non si sono fatti legare dai lacci politici dell’Europa. Infatti nonostante tutto la popolarità del presidente continua a scendere e alle elezioni di novembre rischia di perdere il Senato. Libertà su tutta la linea: così la potenza dove la maggior crisi economica e sociale mondiale nacque nel 2007, si prende la più clamorosa delle rivincite.

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