Matteo Renzi durante un discorso tenuto nella city di Londra (foto LaPresse)

Renzi, in English

Marco Valerio Lo Prete

“Né auspicabile, né fattibile” il Fiscal compact (Def). Ma all’estero il governo punta sulle riforme.

Roma. Nello scorso aprile il governo Renzi, nel Documento di economia e finanza (Def), si diceva convinto di poter “rispettare pienamente la regola del debito nel 2014 e nel 2015”, cioè la riduzione a un ritmo adeguato del rapporto debito pubblico/pil verso la soglia del 60 per cento, a pieno regime dal prossimo anno come previsto dall’ordinamento europeo con il Six pack e poi ribadito nel Fiscal compact. Nemmeno sei mesi dopo, nella Nota di aggiornamento del Def appena approvata dall’esecutivo e sulla base della quale si scriverà la legge di stabilità, lo stesso governo scrive che per rispettare la medesima regola del debito sarebbe necessaria “una correzione (dei conti) che è giudicata né fattibile né auspicabile”. E’ la prima volta che Six pack e Fiscal compact, a causa dei loro potenziali effetti depressivi sulla crescita, vengono giudicati  irricevibili in un documento ufficiale. Un altro segnale che Roma manda a Bruxelles, assieme al rinvio del pareggio di bilancio strutturale al 2017 ancora sub iudice in Europa. Ma cosa è cambiato in così pochi mesi? Sono finiti d’un tratto gli sforzi di risanamento dei conti?
Assolutamente no, assicura l’esecutivo. Prima di tutto, si è manifestata una “dinamica più sfavorevole” del previsto per pil e inflazione, questo il messaggio di fondo che sarà ribadito con Bruxelles al momento di inviare la legge di stabilità alla Commissione Ue il 15 ottobre. Inoltre gli sforzi di revisione della spesa pubblica continuano. Ieri il Corriere della Sera calcolava che i tagli si fermeranno a 5 miliardi di euro sul 2015 a fronte dei 20 miliardi promessi da Renzi solo un mese fa. Dall’esecutivo si osserva che il rapporto deficit/pil sarà sì lasciato salire dal 2,2 per cento al 2,9 il prossimo anno, per evitare una stretta eccessiva. Ma quello 0,7 per cento di pil “liberato” non coprirà tutte le misure da inserire in legge di stabilità, anzi; perciò nella spesa si potrà tagliare per più di 5 miliardi. Infine, e questo è l’argomento che l’esecutivo sostiene con più veemenza all’estero (con tanto di documenti ufficiali tradotti in inglese), c’è la “necessità di procedere speditamente all’approvazione di importanti riforme strutturali”.

 

“Italy’s Structural Reforms”, cioè “Le riforme strutturali dell’Italia”, è un documento in lingua inglese redatto e aggiornato ciclicamente dal ministero dell’Economia e delle Finanze. La sua ultima versione è stata appena inviata alle rappresentanze dei paesi esteri in Italia, ma anche agli investitori stranieri che comprano i titoli di stato emessi da Roma o che hanno intenzione di fare acquisti o avviare attività nel nostro paese. Del rinvio del pareggio di bilancio o della sconfessione (temporanea) del Fiscal compact, in questo documento, non c’è traccia.

 

[**Video_box_2**]Le prime quattro pagine della presentazione sono intitolate: “Cambiare marcia: la nuova agenda di riforme per l’Italia”. Si parla delle “riforme istituzionali” come del necessario “punto di partenza”. Rientrano in questo capitolo i cambiamenti di legge elettorale, Senato e Costituzione, certo, ma anche “la riduzione del cuneo fiscale” e la “semplificazione della legislazione sul lavoro”. A pagina due, in particolare, ci si concentra su “un nuovo ambiente per fare affari”, dove si presentano in maniera iper-sintetica “la modernizzazione della Pubblica amministrazione”, la “velocizzazione” e maggiore “trasparenza” del sistema giudiziario, oltre al rafforzamento dei canali non bancari di finanziamento per le imprese. Bruxelles capirà se la traduzione in francese può aspettare qualche giorno. E’ infatti su questi fronti, più che sulla “regola del debito”, che nell’attuale fase di relativa calma finanziaria s’interrogano i capitali stranieri. Non a caso ieri, intervistato da Repubblica, l’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, John R.

 

Phillips, dopo aver detto che Renzi gli ricorda Ronald Reagan per la sua capacità di “parlare direttamente alla gente e alle sue frustrazioni”, ha detto che proprio la “rigidità” del mercato del lavoro e il sistema giudiziario italiano costituiscono i più grandi deterrenti per le aziende straniere.

 

Le slide in lingua inglese contengono anche una dettagliata tabella di marcia per le principali riforme previste dall’esecutivo, con annessi tempi di realizzazione. Dove si scopre per esempio che entro ottobre Renzi s’impegna ad approvare norme per rendere più “semplice e trasparente” il sistema delle partecipate locali, oltre alla legge annuale sulla concorrenza (che recepisce alcune delle segnalazioni dell’Antitrust). Sul fronte delle privatizzazioni, a dire il vero, il documento inviato agli osservatori esteri è ancora un filino più ottimista della Nota di aggiornamento del Def: nel primo si stimano proventi dalle vendite (tra quote di Poste, Enav, Eni, Enel e altri) pari allo 0,7 per cento del pil ogni anno dal 2014 al 2017. Nell’ultima versione del Def, ancora da tradurre a uso della più austera Bruxelles, le privatizzazioni avranno luogo tra 2015 e 2018.

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