Barack Obama (foto Ap)

Tutta colpa dell'intelligence

Redazione

L’America di Obama ha sottovalutato la minaccia dello Stato islamico, ha sopravvalutato la capacità dell’esercito iracheno di combatterlo. Passino gli errori della Cia, ma la “contraddizione” di Obama fa paura.

L’America di Obama ha sottovalutato la minaccia dello Stato islamico, ha sopravvalutato la capacità dell’esercito iracheno di combatterlo, lo Stato islamico, e ha messo in atto una strategia del tutto contraddittoria in Siria, che potrebbe finire per aiutare il regime di Assad a superare anche questa intemperia. Nell’intervista rilasciata a “60 minutes” della Cbs – registrata venerdì, andata in onda domenica – il presidente americano mette in fila gli errori commessi – ha creduto al premier iracheno Maliki, ha ignorato il vuoto creato dalla guerra civile in Siria –, ma dice che è tutta colpa dell’intelligence che non ci ha capito nulla. Allo stesso tempo, Obama si premura di dire che non è una guerra, questa in Siria e in Iraq, è un’operazione di controterrorismo guidata dall’America (“quando c’è un problema, non chiamano Pechino, non chiamano Mosca, chiamano noi”) che non ha nulla a che vedere con le guerre permanenti dell’èra bushiana. I sondaggi mostrano che i “boots on the ground” non sono graditi agli americani, quindi la comunicazione è chiara: non è una guerra, e l’America non la fa da sola, queste azioni si fanno “costruendo alleanze”. Ma, chiede l’intervistatore, “lei dice che Assad se ne deve andare”. “Sì”, risponde il presidente. “Ma stiamo combattendo contro i nemici di Assad”, replica l’intervistatore. “Ammetto che c’è una contraddizione”, dice il presidente. Va bene l’intelligence che fa un errore via l’altro, va bene l’opzione dell’invio dei soldati esclusa a priori (nonostante i generali) ma che pure la strategia finisca per salvare colui che tutto questo caos l’ha creato, cioè Bashar el Assad, pare un po’ troppo.

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