L'offensiva di Anonymous alla Finanza comincia dalla Cina

Ugo Bertone

Un gruppo di (ex) hacker inguaia il colosso chimico Tianhe e il mercato si fida. Azioni sospese e grane per le banche d’affari.

Milano. Colpito e affondato. Il siluro lanciato da Anonymous Analytics (AA) contro la Tianhe Chemicals, gruppo chimico cinese d’avanguardia, ha centrato la preda alle 10 e 43 del 2 settembre dopo un preavviso degno di Pearl Harbor: meno di mezz’ora. Cinquantasette minuti dopo arriva la resa. Tianhe ha chiesto la sospensione a tempo indeterminato dalla Borsa di Hong Kong per proteggersi dal fuoco della speculazione. Già, l’azione di guerra virtuale, meno cruenta di un videogame, ha investito i conti di una (fino a quel momento) stimata ditta di specialità chimiche, investita da un report velenoso e bene informato di una sigla che già suona, per i colletti bianchi di Cina, più minacciosa della Z di Zorro: “AA” che sta appunto per Anonymous Analytics, bandiera dietro cui si cela un gruppo che si richiama alle imprese anti sistema degli hacker. L’accusa a Tianhe, in un dossier di 66 pagine, è di avere presentato alle Autorità di Borsa una documentazione falsa, in cui viene gonfiato il fatturato e si millanta il possesso di fabbriche che in realtà non esistono. Un colpo basso, ma credibile. Anzi, creduto, al punto che il titolo resta ancora sospeso.

 

Qui sta l’aspetto più clamoroso della vicenda. La quotazione di Tianhe è stata avallata un anno fa dalla garanzia congiunta di blasonate banche d’affari: Morgan Stanley, Ubs e Bank of America. Una garanzia obbligatoria ai sensi delle nuove regole della Borsa di Hong Kong, che ha avviato controlli all’insegna della trasparenza per migliorare la sua immagine. Il consorzio s’è presto dissolto come neve al sole sotto il fuoco degli AA: gli svizzeri di Ubs e BofA hanno ritirato la loro garanzia, a differenza di Morgan Stanley che ha rinnovato “la più piena fiducia” nel management del gruppo cinese. Morgan Stanley non poteva fare diversamente: non solo perché ha incassato una commissione insolitamente alta per la sua perizia sulla società chimica (2 milioni di dollari), ma anche perché ne è il secondo azionista. A prima vista lo scontro è impari: Golia Morgan Stanley contro un rivale misterioso, di cui non si sa nulla. “Non vi diciamo quanti siamo – dice un portavoce degli AA raggiunto via e-mail da Foreign Policy – Qualcuno di noi lavora in banca, qualcun altro in agenzie pubbliche: ma siamo tutti frutto della subcultura di internet con un passato da Anonymous”. Ovvero di hacker, come accusano le loro vittime per screditarli: le loro “prove”, dicono in Tianhe, sono solo nostri documenti contraffatti ad arte. “In dieci giorni di tempo – replicano i pirati – non sono riusciti a tirare fuori una difesa migliore.

 

[**Video_box_2**]In realtà noi ci siamo basati su informazioni pubbliche e sul lavoro dei nostri collaboratori cinesi che non si sono limitati a leggere documenti ma sono andati sul posto”. Già, ma come la mettiamo con l’insider trading? Nessuno di noi, replicano gli “anonimi”, ha venduto una sola azione prima di sparare il colpo. Ma non ci scandalizziamo se qualcuno l’ha fatto dopo. Il furto elettronico? “Per ora non l’abbiamo fatto. O forse sì. Se ammettessimo questo reato, ci scatenerebbero addosso gli elicotteri con i missili. Mica vogliamo dare una mano a Hollywood”. Le “prove” di Anonymous vanno prese con le pinze. Il gruppo ha senz’altro smascherato la truffa di Chaoda, sito specializzato nella vendita di alimentari che vantava numeri siderali, o il bluff di Qihoo, società internet che menava vanto di contatti superiori a Baidu. Ma le operazioni trasparenza a carico delle società cinesi non sono un’esclusiva degli hacker. Altri speculatori senza alcun altro obiettivo se non il profitto da tempo hanno messo nel mirino le matricole della Borsa cinese: Muddy Waters, società di venditori allo scoperto, nel 2010 fece quattrini a palate vendendo i titoli della Sino-Forest prima di rivelare al mercato gli inghippi del bilancio. Il tutto in piena sintonia con gli intenti del Partito comunista che ha già investito più di una multinazionale nella campagna anti-corruzione. Strana alleanza, quella tra gli hacker e i funzionari che diffidano di Hong Kong la ribelle.

 

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