Una chiesa distrutta in Siria

Tabula rasa in nome di Allah

Giulio Meotti

Tombe, chiese, libri, statue. Tesori cristiani, pagani, ebraici, sufi, yazidi. Gli islamisti distruggono le “sembianze del male”.
Come fece già il Califfo con la grande biblioteca di Alessandria.

Roma. Delle quattro grandi metropoli del mondo Romano (Roma, Cartagine, Alessandria, Antiochia) soltanto la prima appartiene ancora all’occidente: di Antiochia non resta che qualche pavimento; di Alessandria (celebre per la Biblioteca) “etiam periere ruinae”, e qualche rottame ne ricorda l’incomparabile splendore; e l’immensa Cartagine provoca un trauma nel visitatore. L’islam ha cancellato tutto. Già nel 645 d. C. Omar Ibn al Khattab, secondo califfo e successore di Maometto, fece dare alle fiamme la biblioteca di Alessandria, con una fatwa: “O i libri che stanno qui dentro sono conformi al Corano, e quindi sono inutili per noi; o non sono conformi al Corano e quindi sono cattivi”.

 

Adesso un altro califfo, Abu Bakr al Baghdadi, ha lanciato una fatwa contro i patrimoni dell’umanità del medio oriente, che ha definito “falsi idoli”, dichiarando guerra alla storia. Per più di cinquemila anni, numerose civiltà hanno lasciato il loro segno in Mesopotamia: Assiri, Accadi, Babilonesi, Ebrei e Romani. Le loro antiche, città sepolte, palazzi e templi ricchi di arte monumentale sono sparsi in quello che oggi è l’Iraq settentrionale e la Siria orientale. Oggi sotto il controllo dello Stato islamico.

 

Due giorni fa, l’Is ha raso al suolo la “chiesa verde” di Tikrit, simbolo del cristianesimo assiro del VII secolo, e il famoso castello di Tikrit, dove nacque il Saladino. Lo Stato islamico decide cosa deve essere distrutto dopo le preghiere del venerdì. Un rito purificatore. Tra i siti più importanti sotto il controllo islamico ci sono quattro città – Ninive, Kalhu, Dur Sharrukin e Ashur – che sono state in tempi diversi le capitali del potente impero assiro. Il danno maggiore ha avuto luogo nel Palazzo di Kalhu, da cui regnava il re assiro Assurnasirpal II. Gli islamisti tagliano rilievi per venderli sul mercato nero. Come un demone alato che tiene una pianta sacra. Lo Stato islamico minaccia di distruggere il sito archeologico di Hatra, la capitale partica dove il regista William Friedkin girò l’inizio dell’“Esorcista”. Il primo suono del film era “Allah Akbar”. Distrutte alcune ziggurat, gli imponenti templi a forma di torre che si alzano verso il cielo, a cercare un dialogo con gli dèi.

 

La tradizione non islamica di Mosul non esiste più. Distrutti trenta siti storici, tra cui i santuari dei profeti biblici Seth, Daniele e Jonah. I testi più antichi del dipartimento Manoscritti della biblioteca di Mosul sono scomparsi. Alcuni sono stati bruciati in piazza. Come facevano gli ascari di Goebbels. Distrutti i templi yazidi dedicati all’Angelo Pavone. In Siria c’è l’“epurazione del paganesimo”, con la distruzione di statue assire ad Ajaja. E poi le moschee sciite. Gli islamici le chiamano “sembianze del male”. Ma non è solo il califfo.

 

Il Museo di arte islamica del Cairo aveva appena riaperto al pubblico dopo nove anni quando lo scorso gennaio una bomba lo ha distrutto. C’erano capolavori del periodo umayade, abbasside, mammelucco e ottomano. Anche il museo Mallawi di Minia è stato quasi distrutto. Al Cairo è andato in fumo l’Istituto lascito della spedizione napoleonica. Nulla è stato salvato della grande “Description de l’Egypte”, voluta dal creatore del Louvre, Vivant Denon, che l’imperatore francese portò al suo seguito.

 

L’Associazione per la conservazione dei beni culturali lo ha paragonato ai mongoli che nel 1258 bruciarono la biblioteca di Baghdad, le cui acque divennero nere per le ceneri di migliaia di manoscritti. Un religioso molto popolare oggi fra i salafiti, Murgan Salem al Gohary, ha detto che vanno distrutte la Sfinge e le piramidi di Giza.

 

In Libia, i “tesori di Bengasi”, monete, gioielli e statue dell’antichità, sono andati perduti nel maggio 2011. Nel mirino dei fanatici siti dell’Unesco come le città romane di Leptis Magna, l’oasi berbera di Gadames e le pitture rupestri di Tadrart Acacus. Salafiti vogliono abbattere la statua “della Gazzella”, il monumento raffigurante una donna nuda, a Tripoli. La grande biblioteca al Saeh di Tripoli, in Libano, è stata data alle fiamme dagli islamisti. Accadde anche in Iran dopo la presa dell’ayatollah Khomeini. Le terme di Khosro Abad, a Isfahan, monumento dell’arte mediopersiana, vennero distrutte dai “riformatori del vero islam nella sua genuinità”.

 

[**Video_box_2**]In Israele, gli islamisti hanno distrutto la tomba di Giuseppe, dove riposano i resti del patriarca biblico, mentre il tempio di Salomone a Gerusalemme viene scavato via a pezzi dai sotterranei per rendere imperitura la presenza delle moschee. Hamas ha di recente spianato coi bulldozer l’antico porto di Anthedon, tremila anni di pavimenti e colonne di epoche romana, bizantina e islamica, patrimonio dell’Unesco. Per farne cosa? Un campo di addestramento terroristico. Un anno fa, in Mali, i manoscritti del Centro Ahmed Baba di Timbuctù sono stati bruciati dalla furia iconoclasta dei mujaheddin. Un corpus di opere che risaliva al IX sec. d. C. e abbracciava tutto lo scibile umano e in molte lingue, come arabo, tamashek, sonrai, bambanà, ma anche ebraico. Distrutta la porta che conduce al santuario di Sidi Yahya. Secondo la leggenda, l’entrata doveva rimanere chiusa per sempre, la sua apertura avrebbe provocato la fine del mondo. “Avete visto, non c’è nessuna fine del mondo”, proclamarono gli islamici neri di fronte alla folla esterrefatta. In India il tempio del dio Ram a Ayodhya è stato distrutto per diventare la moschea di Babri Masjid. I grandi Budda di Bamyan, in Afghanistan, sono stati abbattuti dai talebani dopo una fatwa del mullah Omar. “Idoli di pietra”. Iniziarono dai volti con le labbra sinuose e gli occhi a mandorla, quasi a voler colpire il rimprovero del tempo che quei visi emanavano. Nella valle dello Swat, in Pakistan, i talebani hanno distrutto statue buddiste, lì da dove partì Padmasambhava, il fondatore del buddismo tibetano.  

 

E il cerchio si è chiuso tre giorni fa. Lo Stato islamico ha distrutto l’antica chiesa armena di Der Zor, consacrata come memoriale del genocidio e dove riposano i resti delle vittime dei massacri subiti un secolo fa dagli armeni. Le orde fanatiche di musulmani volevano sradicare la croce dall’impero della mezzaluna. Come i cristiani sgozzati a Ak Hissar, il massacro di madri e figli nel cortile della scuola tedesca di Aleppo, gli orfani del Caucaso buttati nei fiumi come palloncini.
Oggi replica lo Stato islamico. In spregio al mondo. E al patrimonio dell’umanità.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.