Paolo Scaroni (foto LaPresse)

Inchieste a sette mani

I Pm di Rep. ti scrutano lo stipendio: “E' tesoretto”

Redazione

Avviso. Si avverte la spettabile clientela che se avete un conto corrente, un deposito titoli, peggio ancora un trust, un’immobiliare o una srl, attenzione a non stare sulle scatole ai pubblici ministeri di Repubblica.

Roma. Avviso. Si avverte la spettabile clientela che se avete un conto corrente, un deposito titoli, peggio ancora un trust, un’immobiliare o una srl, attenzione a non stare sulle scatole ai pubblici ministeri di Repubblica. In questo caso il vostro portafoglio – e tanto più se sotto specie di trust o srl, benché forme giuridiche previste dal nostro ordinamento, nonché ampiamente praticate dagli editori e dai fondatori del quotidiano suddetto – assumerà sembianze indefettibili di “tesoro” o “tesoretto”, e costituirà prova a delinquere di provenienza illecita, di costituzione di fondi per faccendieri, massoni, o massoni-faccendieri.

 

Paolo Scaroni, già numero uno dell’Eni, non è nelle grazie del quotidiano di largo Fochetti, questo lo si sapeva. Così ieri Rep. ha dato ampio risalto alla nuova indagine del pubblico ministero milanese Fabio De Pasquale, grande habituè e playmaker delle vicende dell’ente petrolifero. Ora De Pasquale “intende accertare”, e Repubblica fedelmente riporta, se siano puliti i soldi del Paolo Scaroni Trust: cioè di un deposito vincolato costituito legalmente nel 1996, quando il titolare lavorava in Gran Bretagna da amministratore delegato della Pilkington, per raccogliervi i guadagni all'estero a beneficio proprio, della moglie e dei discendenti. Il trust – cioè un fondo fiduciario – è ovviamente non cifrato, tanto che ha nome e cognome; dichiarato all’Eni per le norme sulla trasparenza, scudato e trasferito in Italia, ispezionato dalla Banca d’Italia assieme alla Sim milanese di appoggio. Infine gli 11 milioni tornati in patria sono stati investiti in una immobiliare, Cortina srl, che agli ispettori di Bankitalia risulta al 100 per cento di Scaroni. Insomma, i soldi non stanno alle Cayman o a Vanuatu, ma in Italia, in una immobiliare nota alla massima autorità di vigilanza. Ma De Pasquale “vuol risalire all'origine di tutti i flussi di denaro in entrata”. E dunque rogatorie a raffica in Svizzera, Lussemburgo, Abu Dhabi, Algeria, Francia, Hong Kong, Singapore, Libano. A Rep. basta per titolare: “Eni, al setaccio il tesoro di Scaroni”.

 

[**Video_box_2**]Siamo in realtà alla seconda puntata. Domenica il quotidiano di Ezio Mauro – dovendo anche recuperare terreno sul Corriere della Sera che aveva dedicato paginate all'inchiesta (sempre by De Pasquale) per “corruzione internazionale” dell’Eni in Nigeria – aveva pubblicato un’intervista dai modi insoliti di Gad Lerner all’attuale ad dell’Eni Claudio Descalzi. Questo l’incipit: “Adesso basta. Voglio gridarlo al mondo che non sono un disonesto… E’ una voce strozzata dal pianto quella dell’amministratore delegato. Non riesce a trattenere lo sfogo con l’amico che prima ha abbracciato e a cui rivolge non solo occhi pieni di lacrime ma anche una raffica di domande…”. Dove Lerner è non solo pm di complemento, ma anche amico, confessore, forse inquisitore con poteri di assoluzione. Purché lo sventurato sputtani il suo predecessore, Scaroni appunto. Chapeau? Sennonché la smentita del giorno dopo (“Non ritengo corretto dire che all’Eni decideva tutto Scaroni in quanto non rende giustizia né alla struttura di governance della società né alle persone. Inoltre non è vero che non parlo da mesi al telefono con Scaroni”) che nega l’assunto dell’azione inquisitoria, trasloca da pagina uno a un boxino nascosto a pagina 25. Eppure Lerner insisteva, martedì, sul suo blog, scrivendo che la nuova richiesta dei pm dimostra “il clima avvelenato di cui ha reso pubblica testimonianza l’attuale ad di Eni, Descalzi”, e poi una sentenza preliminare: “Ex dirigenti e faccendieri vivono un momento di grave difficoltà”.

 

Mettiamoci pure la difesa di Descalzi da parte di Matteo Renzi (“Felice di averlo scelto, lo rifarei anche domani”), un Luigi Bisignani che non manca mai, e l’indubitabile verità che per una compagnia petrolifera – Eni o Shell o Exxon – trattare concessioni in Nigeria e in Algeria non sia come partecipare a un appalto in Svezia. E poi: ricordate l’accusa di corruzione alla Finmeccanica per gli elicotteri indiani, anche lì con fiumi di intercettazioni e certezze su fondi neri? A luglio è stata archiviata, ma i giornaloni non se ne sono accorti. Ora che resterà della Paolo Scaroni Trust Story? I soldi, appunto, sono qui. Ma come dicono in procura, questa è furbizia levantina. Pardon, vicentina.

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