Il presidente della Bce Mario Draghi (Foto AP)

Perché le banche non vogliono i soldi

Redazione

Flop per la prima asta dei prestiti Bce. L’economia è così ferma che gli istituti non fanno credito neanche se il denaro glielo regala Draghi.

È rimasta largamente al di sotto delle attese la domanda di denaro da parte delle banche europee alla prima delle aste della Bce. In pratica, la Banca centrale ha messo a disposizione degli istituti di credito, da qui a fine anno, 400 miliardi di euro. Unica condizione: che i soldi siano utilizzati per la concessione di crediti alle aziende. Risultato: nella prima asta (ne seguirà una seconda in dicembre) le banche hanno chiesto solo 82,6 miliardi [1].

 

Su 382 istituti europei che avevano diritto a partecipare alla distribuzione dei fondi, 127 sono rimasti alla finestra. I Paesi più in difficoltà hanno fatto la parte del leone: gli italiani hanno preso 23 miliardi, pari al 28% del totale, gli spagnoli circa 15 miliardi (17,8%). Unicredit ha preso 7,75 miliardi, Intesa Sanpaolo 4, Mps 3, Bper 2, Iccrea 2,24, Banco Popolare 1, Creval 1, Credem 735 milioni, Carige 700, Mediobanca 570, Pop Sondrio 350. In Spagna Banco Sabadell ha preso 3,6 miliardi [2].

 

Molte altre banche, come quelle tedesche, che hanno abbondante liquidità, così come i loro clienti, hanno partecipato in misura modesta. Quelle francesi a loro volta hanno presentato richieste molto inferiori al tetto loro concesso (ogni banca può richiedere fino al 7% del proprio portafoglio di prestiti alle imprese e alle famiglie) [3].

 

Tamburello: «La maggioranza degli istituti di credito europei si è dunque comportato diversamente dagli italiani, ha preferito continuare a finanziarsi a brevissimo termine, ai tassi di riferimento vicino allo zero della stessa Banca Centrale Europea, piuttosto che accollarsi prestiti quadriennali da dirottare alla clientela a tassi vantaggiosi ma più alti» [1].

 

I prestiti della Bce alle banche per le operazioni di liquidità, dette Tltro (Targeted longer term refinancing operation), sono a 4 anni al tasso annuo fisso di 0,15% (lo 0,05% dell’attuale tasso di rifinanziamento più uno spread di 10 punti base) [4].

 

La Bce realizzerà altre sei aste nel 2015 e nel 2016, per un totale di mille miliardi di euro, con modalità diverse, favorendo le banche che hanno aumentato il credito. Se le banche non impiegheranno i fondi ricevuti con prestiti all’economia reale (con
l’esclusione dell’immobiliare) dovranno restituirli alla Bce dopo due anni [3].

 

Le Tltro e gli acquisti di titoli cartolarizzati (vedi più avanti) fanno parte del piano annunciato a giugno da Mario Draghi per
cercare di combattere il rischio di deflazione e rilanciare la stagnante economia dell’Eurozona. Merli: «Il risultato molto basso della prima asta solleva qualche dubbio sulla possibilità che la Bce raggiunga il suo obiettivo» [3].

 

«È un colpo a Mario Draghi» (Financial Times), «Il supercannone di Draghi sembra essersi inceppato» (Frankfurter Allgemeine) [4].

 

Ma perché? Per quale motivo le banche avrebbero potuto prendere soldi allo 0,15% e prestarli alle imprese a tassi tra il 5 e l’8% e non l’hanno fatto? Paolo Guida, vicepresidente dell’Aiaf, l’associazione degli analisti finanziari: «Il problema è, soprattutto in Italia, più nella domanda che nell’offerta di credito. Le condizioni dell’economia, infatti, non giustificano investimenti da parte delle imprese o l’ulteriore indebitamento delle famiglie» Ugo Bertone, Libero 19/9; [6] Tonia Mastrobuoni, La Stampa 19/9; [7] Eugenio Occorsio, la Repubblica 19/9..

 

Bertone: «Il sistema sembra ormai precipitato nella trappola della liquidità descritta da Keynes: non si prendono a prestito quattrini oggi perché, di fronte al crollo dei prezzi, le cose costeranno di meno domani. Inoltre, a frenare il credito non è tanto la mancanza di liquidità bensì la combinazione tra i vincoli patrimoniali imposti dall’Asset Quality Review e il rischio legato agli impieghi» [5].

 

In altre parole le banche non hanno preso i soldi perché non sanno a chi darli. Da una parte gli istituti di credito li concedono malvolentieri perché temono di non vedersi restituire i prestiti dalle imprese (che non hanno solo problemi di liquidità). Dall’altra parte le imprese non ne chiedono alle banche per paura di indebitarsi ulteriormente in uno scenario economico a crescita zero. Secondo altri analisti, molti banche preferiscono aspettare l’asta di dicembre, quando saranno stati chiariti gli esiti dell’esame condotto dalla Bce stessa sui loro bilanci (gli stress test, in pubblicazione a fine ottobre) e quando ci sarà qualche indicazione sul programma di acquisti di titoli cartolarizzati (Abs) e di covered bond da parte dell’Eurotower, che a sua volta partirà il mese prossimo [3].

 

I falchi tedeschi, intanto, protestano perché le banche italiane avrebbero ricevuto una fetta troppo grossa. Andrea Tarquini: «E mormorano (come riporta l’edizione online della Frankfurter) che l’esito deludente del rifinanziamento potrebbe avvicinare l’acquisto di titoli sovrani di Paesi in difficoltà da parte dell’istituto della moneta unica, “proprio adesso che per una turnazione casuale il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, non ha diritto di veto nel Board”. Weidmann, come Draghi stesso aveva fatto capire parlando di “non unanimità”, era stato l’unico a opporsi al varo della misura straordinaria, e adesso potrebbe partire al contrattacco» [4].

 

Infatti, uno degli obiettivi più importanti dichiarati da Draghi e che fa capire la traiettoria della Bce, è allargare il proprio bilancio fino ai picchi raggiunti nel 2012, apice della crisi dell’euro, quando si gonfiò fino a 3.000 miliardi: ora è circa a 2.000. Se il target è ampliarlo di circa mille, se anche le prossime offerte di Tltro dovessero rivelarsi deludenti, si rende probabile un impegno più massiccio su altri due fronti [6].

 

Mastrobuoni: «Il primo fronte è quello già annunciato dell’acquisto di titoli cartolarizzati Abs e covered bond. Se la Bce non può decidere quanti prestiti prendono le banche, può certamente decidere quanti bond comprare. E se l’obiettivo è impegnare mille miliardi e gli istituti di credito si mostrano timidi, alla Bce non resta che comprare di più. E non solo Abs o covered bond, anche titoli sovrani (secondo fronte). In altre parole, l’esito deludente delle Tltro è una buona notizia per chi spera in un quantitative easing, un acquisto in massa di titoli privati e pubblici all’americana. Con buona pace di Berlino» [6].

 

[**Video_box_2**]Allen Sinai, economista di lungo corso, oggi presidente di Decision Economics: «L’insuccesso del maxiprestito di Draghi conferma ancora una volta che serve il quantitative easing per immettere liquidità nel sistema in modo massiccio e a ogni livello. In America ha risolto la crisi. Oggi i fondamentali sono a posto. Il Pil è salito di oltre il 4% nel secondo trimestre, la disoccupazione è al 6,1%, la metà dell’Europa. Ma il vero dato confortante, da mettere a confronto con la situazione europea,
è che mentre il tasso d’inflazione si avvia al livello ottimale che anche da noi è del 2% (oggi è dell’1,7%, ndr), il numero dei disoccupati sta scendendo. Segno che è stato trovato un punto di sostanziale equilibrio fra la domanda e l’offerta di lavoro» [7].

 

Bertone: «Quanto ci vorrà? Forse non saranno sufficienti nemmeno i mille miliardi di cui ha già parlato Draghi. Ma non è il
caso di esitare. Come ha detto lo stesso banchiere romano, di questi tempi “il rischio di non fare è molto più alto di quello di fare”» [5].

 

Occorsio: «Ma il quantitative easing non è sotto accusa per il pericolo di bolle di liquidità che crea?» Sinai: «Macché. Le condizioni non potrebbero essere più favorevoli: bassi tassi, inflazione sotto controllo tanto che si corre il pericolo opposto della
deflazione, aziende che non aspettano che un’iniezione di fiducia per ripartire. Cos’altro deve accadere?» [7].

 

Note: [1] Stefania Tamburello, Corriere della Sera 20/9; [2] Fabrizio Massaro, Corriere della Sera 19/9; [3] Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 19/9; [4] Andrea Tarquini, la Repubblica 19/9; [5] Ugo Bertone, Libero 19/9; [6] Tonia Mastrobuoni, La Stampa 19/9; [7] Eugenio Occorsio, la Repubblica 19/9.

Di più su questi argomenti: