L'allenatore del Napoli Rafa Benitez (foto LaPresse)

Perché la storia tra Benitez e il Napoli è finita

Sandro Bocchio

Nel calcio i gesti valgono più delle parole. Perché le dichiarazioni pre-in-post partita sanno sempre di falso, come le immagini “in esclusiva” degli spogliatoi poco prima del fischio d'inizio. Frasi fatte da esibire a seconda delle circostanze: "Serve la partita perfetta", "Sarà come una finale".

Nel calcio i gesti valgono più delle parole. Perché le dichiarazioni pre-in-post partita sanno sempre di falso, come le immagini “in esclusiva” degli spogliatoi poco prima del fischio d'inizio. Frasi fatte da esibire a seconda delle circostanze: "Serve la partita perfetta", "Sarà come una finale", "Non parlo dell'arbitro", fino al farisaico "Rispetto per le decisioni del mister". Per schermarle ulteriormente dagli interpreti labiali, poi, ogni protagonista non è immune alla mano condotta davanti alla bocca, a mimetizzare ciò che si pensa. Ma il corpo no, quello non può essere nascosto, perché la reazione è rimasta il gesto ancora più spontaneo e umano. Incontrollabile. Allora quando vedi Rafa Benitez sedersi sconsolato in panchina – lui che le partite le vive a bordo campo – di fronte a un Napoli umiliato anche a Udine, si capisce che qualcosa di definitivo è successo. E sta per succedere.

 

Perché quella tra la spagnolo e Napoli è una storia che sta volgendo al termine, non soltanto da quando il tecnico ha deciso di non rinnovare il contratto in scadenza. Lo si è intuito in estate, nel momento in cui Benitez ha provato ad alzare l'asticella della ambizioni e il suo presidente Aurelio De Laurentiis ha provveduto prontamente ad abbassarla. Avrebbe voluto uomini con cui aggredire quella Champions League da dove era uscito per differenza reti, dopo aver chiuso a pari merito a 12 punti con grandi del calcio europeo come Borussia Dortmund e Arsenal (mai visto nella fase a gironi). Tutti sapevano che avrebbe voluto con sé Javier Mascherano, dato in uscita dal Barcellona. In alternativa, uomini di esperienza cui affidare la squadra in Europa. Invece De Laurentiis ha traccheggiato, in attesa che i prezzi calassero oppure che si potessero concludere prestiti poco impegnativi. Così Mascherano non si è visto, così Pepe Reina non è tornato (fa il secondo al Bayern...), così obiettivi più o meno veritieri si sono dissolti con l'incedere del mercato. Fino a lasciare tra le mani il misterioso Michu (implacabile due anni fa nello Swansea, scomparso la stagione successiva), l'imbarazzante Koulibaly (sì, quello dell'assist decisivo per il gol di Danilo) e l'impalpabile David Lopez (carriera tra seconde e terze scelte della Spagna). Ci sarebbe anche Jonathan De Guzman, uno vero, nazionale olandese. Ma a Udine era tra le riserve, insieme a punti fermi azzurri quali Hamsik, Mertens, Callejon e Inler.

 

Ai più era apparso un turnover, quello che aveva macchiato negativamente le annate di Walter Mazzarri. Invece quella di Benitez è stata una scelta di campo. Una scelta che, come i gesti, vale più di mille parole. Un messaggio al mondo perché De Laurentiis intendesse. Intendesse che il mercato non è piaciuto allo spagnolo il quale, a differenza di Antonio Conte (un altro incavolato in materia), non ha avuto la voglia o la forza di salutare. Anche perché, a differenza dell'ex juventino, non aveva una panchina pronta ad accoglierlo. Allora lo spagnolo si è lasciato andare a (mezze) parole e a piccole ripicche, come la vacanza a Liverpool misteriosamente allungata a inizio settembre, quando il campionato era fermo. "Un suo diritto", si è difesa la società. Una crepa vistosa, per il resto del mondo. E i risultati sono lì a confermare l'aria da separati in casa, con inevitabili riflessi negativi sulla squadra. Si è cominciato con la bruciante eliminazione nei preliminari di Champions League contro l'Athletic Bilbao, dipinto come l'uomo nero delle favole e andato a perdere in casa nell'ultimo turno con il Granada, le dépendance spagnola dei Pozzo. Si è proseguito in campionato, con una vittoria nel finale in casa del Genoa annullata dai tonfi contro Chievo (a San Paolo) e Udine.

 

[**Video_box_2**]Tre punti in classifica, a meno sei dalla coppia Juventus-Roma, con la serie B più vicina dell'Europa, con un tecnico che fa l'offeso e che oggi viene messo in discussione da chi l'aveva salutato come l'uomo dei sogni. Perché Benitez aveva accolto Napoli come una grande opportunità personale, per continuare quel cammino di vittorie generoso in Spagna e Inghilterra ma segnato in Italia dal fallimento all'Inter. Non a livello di risultati, perché qualcosa aveva portato a casa (Supercoppa italiana e Mondiale per club) in un'annata che sarebbe stata impossibile per chiunque, una volta chiusa l'epopea mourinhana e in un ambiente colmo di fresche vedove del divo José, a cominciare da Massimo Moratti. Ma un fallimento di rapporti, e per il presidente nerazzurro era stato gioco facile cacciare un tecnico scelto dai suoi collaboratori e pronto al mugugno perché si sentiva poco apprezzato. Ciò che potrebbe accadere a Napoli, perché a De Laurentiis piagnistei e ribellioni non piacciono e perché - in due stagioni - una Coppa Italia non può bastare, come non possono bastare risultati fermatisi sempre un attimo prima della gloria. Figurarsi oggi, con le coppe limitate alla poco affascinante Europa League e con un campionato già triste dopo appena tre giornate.