Valdimir Putin (foto Ap)

Putin vuole arrivare fino a Riga, ma sta sperperando il tesoretto

Anna Zafesova

Il capo del Cremlino è minaccioso con l’occidente, ma l’arresto dell’oligarca svela i buchi del suo bilancio.

Milano. La Borsa crolla, gli investitori sono nel panico, i capitali ricominciano a guardare verso la porta. L’atmosfera negli ambienti imprenditoriali di Mosca nelle ultime 48 ore è simile a quella sul ponte del Titanic. Ma non sono le ripercussioni dalle sanzioni a provocarla, bensì l’arresto di Vladimir Evtushenkov, padrone della corporation Sistema, oligarca storico, solido e globalizzato. Viene accusato di riciclaggio e appropriazione indebita di Bashneft, la società petrolifera privatizzata e venduta dalla famiglia dell’ex presidente bashkiro Rakhimov. La community imprenditoriale russa – che aveva manifestato per le sanzioni solo una moderata inquietudine – ha reagito con una indignazione senza precedenti. Il presidente dell’Unione industriali Alexandr Shokhin denuncia un “secondo caso Yukos”, mentre il suo vice Igor Yurgens invita ad agire: “Dobbiamo dire qualcosa, è in corso una ripartizione delle proprietà con elementi di nazionalizzazione, è un fulmine a ciel sereno”.

 

Dietro l’arresto di Evtushenkov ci sono le mire di Rosneft sulla petrolifera bashkira. Mikhail Khodorkovsky, l’ex patron della Yukos, dal suo esilio punta il dito contro Igor Sechin, l’onnipotente capo della major petrolifera di stato, uno dei principali falchi putiniani. Ma anche gli imprenditori residenti in Russia non esitano a mettere in causa il presidente. Evtushenkov aveva accettato il patto putiniano con il grande business: non finanziava partiti, fondazioni o media, non criticava il Cremlino. E il fatto che sia finito ai domiciliari dimostra che il patto è stato violato.

 

L’arresto di un imprenditore della top 15 dei miliardari russi è solo apparentemente lontano dal Donbass, e un probabile segnale di quanto sia fragile la tregua. Non solo perché dimostra, come nota il padre delle privatizzazioni Anatoly Chubais, quanto una parte della élite russa sia indifferente alla propria reputazione sui mercati: “Un colpo così pesante alla credibilità proprio mentre siamo sull’orlo della recessione e della stagnazione”. Le notizie sull’economia nelle ultime settimane assomigliano a brevi dispacci dal fronte. La Banca centrale ha cominciato a vendere dollari alle banche in crisi di liquidità valutaria a causa delle sanzioni, rialzando il rublo dai minimi dopo che aveva perso il 12 per cento del valore in due mesi.

 

[**Video_box_2**]L’inflazione punta all’8 per cento mentre sugli alimentari è stata del 10 in un solo mese trascorso dalle contro-sanzioni introdotte dal Cremlino. Il consigliere presidenziale Andrey Belousov accusa di tutto i “rincari del mangime”, ma intanto il patriarca della ricerca economica Abel Aganbeghian ammette che i redditi reali dei russi sono scesi nel 2014, per la prima volta in 15 anni di putinomics. La produzione industriale (inclusa l’estrazione di idrocarburi) ad agosto è cresciuta poco più di zero. Mentre il prezzo del petrolio – che insieme al gas forma un terzo del pil e la metà del bilancio federale – è sceso sotto i 96 dollari a barile alla base della finanziaria, il Cremlino ha già introdotto la tassa sulle vendite, e medita sull’aumento di aliquote Irpef e Iva. Il progetto di bilancio propone tagli alla sanità, alle integrazioni pensionistiche e salariali e all’istruzione. Sembra inesorabile il sequestro dei versamenti pensionistici ai fondi non statali, mentre quelli dell’anno scorso sono stati dirottati verso la Crimea.

 

Ma il “tesoretto” gelosamente custodito per anni verrà scoperchiato per altri fini. Il ministro del Tesoro Anton Siluanov ha annunciato che il 60 per cento del Fondo del benessere nazionale – 85 miliardi di dollari destinati a colmare i buchi pensionistici – verrà speso per infrastrutture, e soprattutto per aiutare le società colpite dalle sanzioni. Il primo beneficiario sarà Rosneft, che va incontro a scadenze di debiti con banche occidentali per 27 miliardi di dollari e ne chiede 40. Numeri che spiegano le dietrologie sul caso Evtushenkov: non avendo più liquidità per comprare Bashneft Sechin decide di farne crollare il prezzo arrestando il suo proprietario.

 

E numeri che spiegano anche perché, secondo il monitoraggio della società Medialogia, da 10 giorni i canali tv russi non usano più nei tg il termine “la giunta di Kiev” e Petro Poroshenko non viene più definito “criminale” La Süddeutsche Zeitung riferisce, citando il verbale di un colloquio tra il presidente ucraino e Jose Manuel Barroso, che nelle sue telefonate Putin abbia minacciato Poroshenko che le sue truppe possono “prendere in due settimane non solo Kiev, ma anche Riga, Vilnius, Tallinn, Varsavia o Bucarest”. Le ambizioni del Cremlino si estendono dunque non solo a “cortile di casa” sovietico, ma anche a quei satelliti ormai rifugiati sotto l’ombrello dell’Ue e della Nato. Ma una guerra che sia qualcosa di più di un blitz oltre confine oggi è un lusso per Mosca. Anche perché ha già sulle spalle la Crimea – che ha problemi di approvvigionamenti e si è già vista aumentare i prezzi in media del 40-50 per cento – e ora Poroshenko con astuta generosità propone al Donbass uno “statuto speciale” che prevede la partecipazione russa alla sua ricostruzione post guerra.

 

Ragionando in termini di “it’s economy stupid” Putin ora è costretto alla retromarcia, come era già successo dopo il disastro del Boeing. Che però non può che essere una tregua provvisoria, non solo perché vive l’occidente come un nemico che gli ruba in casa, ma per la stessa logica del suo regime. Il viceministro Sergei Beliakov, licenziato dopo essersi scusato su Facebook per le pensioni, racconta che l’esecutivo parte dall’assunto che il presidente ha sempre ragione. Trovare, nel pubblico o nel privato, un kamikaze che gli spieghi che la colpa della crescita del pil all’1 per cento (ma Moody’s lo stima in -1 per cento già nel 2014) non è dovuta alla “scarsa attività dei partner commerciali esteri” come afferma la Banca centrale, ma a fattori interni, non è solo difficile ma inutile: per ogni bambino che dice che il re è nudo si troveranno centinaia di cortigiani pronti a rassicurarlo che il vestito gli sta a pennello. Produttori e lobbisti di auto e farmaci, ma anche registi, chiedono nuove controsanzioni per espellere dal mercato concorrenti occidentali, associazioni di coltivatori vogliono sovvenzioni, deputati e burocrati propongono nuovi divieti di tutto, dalle mutande di pizzo ai viaggi all’estero, i militari e i servizi sognano classi militarizzate nei licei, in una corsa a chi la spara più grossa per farsi notare. Sono gli ingranaggi dell’87 per cento del consenso di Putin, e la nuova guerra fredda gli apre un mercato al quale non vorranno rinunciare.