La vecchia (a sinistra) e la nuova prima pagina del Financial Times

Adattarsi o morire. Il Ft si rifà il look cartaceo per essere più digitale

Piero Vietti

Quando Lionel Barber divenne direttore del Financial Times, nove anni fa, il quotidiano finanziario inglese più famoso e letto del mondo vendeva circa il doppio delle 210.000 copie che ha venduto ad agosto di quest’anno, e solo in patria le cose andavano sicuramente meglio di adesso, con appena 64 mila lettori “cartacei” al giorno.

Quando Lionel Barber divenne direttore del Financial Times, nove anni fa, il quotidiano finanziario inglese più famoso e letto del mondo vendeva circa il doppio delle 210.000 copie che ha venduto ad agosto di quest’anno, e solo in patria le cose andavano sicuramente meglio di adesso, con appena 64 mila lettori “cartacei” al giorno. Dati che confermerebbero la tesi di chi lamenta la fine del giornalismo tout court perché quello tradizionale, di carta appunto, è in via d’estinzione. In questi nove anni però il Financial Times è anche passato da 75.000 a 455.000 abbonati digitali, allargando la platea dei suoi lettori e ottenendo in realtà un saldo positivo. Gran parte del merito di questo successo è dovuta naturalmente alla qualità del lavoro dei 600 giornalisti che quotidianamente scrivono per il giornale rosa, ma non sarebbe stata possibile senza la capacità di lettura dei tempi fatta dal direttore. Non senza qualche resistenza della redazione, Barber è riuscito nel tempo a trasformare il lavoro dei suoi giornalisti dall’essere finalizzato per l’edizione cartacea al digital first. L’idea è semplice, oltre che adeguata ai giorni che viviamo: notizie, analisi, interviste e commenti devono essere pensati e prodotti per essere pubblicati innanzitutto sui supporti digitali (sito, mobile o tablet che siano).

 

Lunedì di questa settimana, però, il Financial Times cartaceo è arrivato tra le mani dei suoi lettori completamente rinnovato: nuova grafica, nuovi contenuti, persino un nuovo carattere creato apposta per il quotidiano, il Financier, e una rubrica sportiva fissa tutti i lunedì. In un colloquio con Jane Martinson del Guardian, Barber ha risposto alla logica obiezione sul perché in un momento di crisi della carta si siano spese energie e forze per ripensare un prodotto a detta di molti ormai in decomposizione. Ed è una risposta molto realista: “Il giornale è ancora un’ottima vetrina pubblicitaria”. Il Financial Times è stato probabilmente il primo quotidiano a sperimentare una redazione digitale che in pochi anni ha di fatto integrato quella tradizionale. La rivoluzione portata da Barber è qualcosa che oggi in molte redazioni – specialmente in quelle italiane – è quasi inaccettabile: su seicento giornalisti a disposizione, appena quindici si occuperanno dell’edizione cartacea, in cui compariranno diversi articoli già usciti sul web. Non è raro vedere sulla prima pagina del giornale in edicola articoli che aprivano l’edizione online la sera prima.

 

[**Video_box_2**]E’ il nuovo giornalismo, che non vive più con le logiche della stampa, che non considera le notizie un segreto da pubblicare con dodici ore di ritardo per paura che qualcun altro le possa copiare o che i lettori non corrano in edicola (il FT mette gli articoli sul sito a pagamento, ma sono leggibili gratis se raggiunti tramite motore di ricerca). Per rendere possibile tutto ciò è in corso un “trasloco” redazionale per cambiare i turni notturni per l’edizione cartacea in turni quotidiani finalizzati al web. La carta dunque come un “meglio di”, reso più leggibile per i lettori anche grazie a una grafica che ricorda quella dell’online e la tradizionale autorevolezza che convince gli investitori a spendere soldi per fare pubblicità nonostante le copie in calo. Barber ha quasi sessant’anni, ma ha l’entusiasmo di chi ha capito che l’alternativa è “adattarsi o morire”, diceva ancora al Guardian. Se la metà dei tuoi lettori ti legge via smartphone, spiega il rivoluzionario direttore, devi dar loro un prodotto leggibile su smartphone e non solo su carta.

Di più su questi argomenti:
  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.