I dramas dell'Asia sono transculturali, ricchi e creano super idol popolari

Giulia Pompili

Non solo grandi produzioni americane. Sono decenni che in Asia spopolano i dramas, ovvero le serie tv o sceneggiati a puntate che vantano produzioni con budget talmente alti da non avere nulla da invidiare a “House of Cards”.

Roma. Non solo grandi produzioni americane. Sono decenni che in Asia spopolano i dramas, ovvero le serie tv o sceneggiati a puntate che vantano produzioni con budget talmente alti da non avere nulla da invidiare a “House of Cards”. Anche i protagonisti sono generalmente delle star nei paesi asiatici, in Cina e in Giappone così come in Corea del sud, in barba a pregiudizi culturali o diplomatici. Alcune serie tv asiatiche spesso varcano il confine del 38° parallelo su supporti digitali e arrivano illegalmente nelle case dei coreani del nord. E dire che si rischia grosso a far passare gli episodi oltre il confine, perché nelle serie tv si raccontano storie che secondo il regime di Pyongyang sarebbe meglio non far vedere al popolo. Prendiamo “Athena: Goddess of War”, secondo il sito IMDb una delle migliori serie degli ultimi anni. Si tratta di una produzione del 2010, con 17 milioni di dollari di budget. Venti episodi da un’ora ciascuno. La storia è quella di un gruppo terroristico, e c’entra la minaccia nucleare nordcoreana, c’entrano i servizi segreti e pure la figlia del presidente sudcoreano, rapita e detenuta in Italia – alcune scene della fiction sono state girate tra Roma, Venezia e sulle Dolomiti. Poi ci sono anche i drama sudcoreani romantici, e uno dei più famosi del momento è “Bachelor’s Vegetable Store”. Racconta la storia vera di Lee Young-seok, che da un piccolo negozio di frutta e verdura è riuscito a creare nel 1998 un franchise con trentatré filiali sfidando i peggioristi e la cultura dei chaebol, il sistema economico sudcoreano di imprese conglomerate, spesso a conduzione familiare, che bloccano l’iniziativa economica dei giovani.

 

[**Video_box_2**]In Giappone le serie tv si chiamano dorama. Nel 2007 ha avuto molto successo la serie dorama “Bambino”, realizzata con la collaborazione dell’ambasciata giapponese in Italia. “Bambino” racconta la storia di Ban Shogo, uno studente universitario di Fukuoka che lavora in un ristorante italiano e decide di diventare uno chef imparando l’arte direttamente nel nostro paese. MatsuJun, l’attore che interpreta il protagonista, è il cantante della boy band Arashi e ha lavorato in una quindicina di dorama. La serie tv principe, quella più lanciata della tv, si chiama getsuku che è l’abbreviazione di “lunedì alle nove di sera”. Le dorama trasmesse quel giorno, in prima serata, sono solitamente le più viste e sono ormai un vero genere. Poi ci sono gli sceneggiati storici, che funzionano con il target di persone più anziane (dunque trasmesse durante il giorno) e prodotti soprattutto in Cina. Pechino produce circa trentamila episodi di vari tv drama all’anno, la maggior parte dei quali vengono trasmessi anche in Giappone e Corea del sud. “The Legend of Zhen Huan”, serie tv sugli intrighi di corte durante la dinastia Qin, è stato definito la “House of Cards” cinese. A unire le produzioni dei vari paesi c’è sempre un minimo comune denominatore: i protagonisti sono tutti incredibilmente belli. E spesso sanno anche cantare, sanno ballare, e in poche puntate diventano idol, che non è solo una parola da tradurre con idolo, ma è un fenomeno culturale che genera personaggi talmente popolari da appartenere completamente al pubblico.

 

Naturalmente è difficile trovare un produttore che decida semplicemente di tradurre per il pubblico occidentale dei dramas asiatici. Vale invece il contrario, per cui sono spesso colossi americani che partecipano alla produzione di serie sudcoreane oppure comprano i diritti per i remake (è il caso di “Hwayi: A Monster Boy”, serie sudcoreana del 2013 su un sedicenne cresciuto come un assassino, e che verrà riprodotta per il pubblico americano).

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.