Una locandina della serie tivù indianan "Ramayana"

Geopolitica della tv a puntate. Da Evita contro Sentieri ai Cesaroni contro Trono di spade

Maurizio Stefanini

Dagli Stati Uniti viene la soap opera. Dall’America Latina la telenovela. Dal Regno Unito la sitcom. Dall’Italia lo sceneggiato. Dalla Francia il feuilleton télévisé. Dall’India gli epic television series.

Dagli Stati Uniti viene la soap opera. Dall’America Latina la telenovela. Dal Regno Unito la sitcom. Dall’Italia lo sceneggiato. Dalla Francia il feuilleton télévisé. Dall’India gli epic television series. Chiamarla geopolitica forse è troppo, ma anche le serie televisive hanno le loro logiche d’intersezione e di mercati, che non escludono convergenze e sovrapposizioni. E sfide imperialiste dell’intrattenimento. Feuilleton télévisé e sceneggiato italiano, ad esempio, nascono entrambi dalle esigenze di tv di monopolio statale che volevano fare educazione, prima ancora che intrattenimento. Ma la Rai di Bernabei, erede di un paese che da D’Azeglio in poi aveva il problema di “fare gli italiani”, sceglieva la chiave di alfabetizzazione di massa che privilegiava la grande Letteratura. Mentre la Francia, continuando nella nazionalizzazione delle masse iniziata con l’assolutismo e la Rivoluzione, privilegiò la grande Storia.

 

Più profondo invece è il divario tra soap opera dell’America del nord e telenovela dell’America del sud. Entrambe, comunque sia, nate prima della tv: giusto per confermare l’assioma che prima nasce il mercato e poi il prodotto. “Sentieri”, la soap dei record, iniziò in radio nel 1937 prima di approdare nel 1952 sul piccolo schermo in cui sarebbe durata fino al 2009. Un emisfero più sotto, Evita Perón era invece un’attrice di radionovelas specializzatasi in grandi donne della Storia, prima di imitarne frasi e pose memorabili come Santa dei Descamisados. Ma la soap opera era nata nelle stazioni commerciali statunitensi, come veicolo per le pubblicità di detersivi per casalinghe già “consumiste”. Le radionovelas, in un contesto culturale più arretrato, avevano invece iniziato riproponendo i feuilleton ottocenteschi, e l’imprinting è così sempre rimasto, e ha lasciato alcune differenze. La telenovela, ad esempio dura una stagione, piuttosto che decenni. Si concentra su personaggi, piuttosto che su famiglie. E non si limita a un’ambientazione contemporanea, ma spesso fa incursioni nel passato, usando la suggestione dei costumi per compensare i budget più bassi (“Elisa di Rivombrosa” sarà mai una nipotina di “Ciranda de Pedra”?). In generale tutto il Terzo mondo, dall’Africa all’Asia orientale passando per il medio oriente, tende più verso la telenovela che la soap. Ma le serie indiane ispirate alla grande epica indù hanno un posto a sé. Al tempo della famosa trasposizione del “Ramayana”, nel 1987-’88, anche i più umili villaggi fecero collette per comprare un apparecchio che permettesse la visione collettiva a tutti i paesani. Secondo molti politologi, quel successo contribuì potentemente al revival della destra indù oggi al potere a New Delhi con Narendra Modi.

 

In Italia soap opera e telenovela negli anni ’80 servirono alla grande offensiva con cui le tv private scardinarono il primato della Rai degli sceneggiati. Ma oggi entrambe sono in crisi, di soap opera non se ne fanno praticamente più, e le telenovela si stanno rinnovando. A volte con bagni di realtà di cui sono un esempio le narco-novela dedicate ai narcos famosi, ispirate a altri generi di origine Usa: dal thriller al crime drama, al police drama o al legal drama. Ma più spesso sono anch’esse contaminate dalla sitcom: genere brillante nato alla radio inglese negli anni ’30 con derivazione dal teatro di vaudeville, e oggi diventato la vera fiction generalista. Anche la tv italiana ha mescolato con la sitcom la tradizione televisiva dello sceneggiato e quella cinematografica della commedia all’italiana, facendo nascere la cosiddetta serie all’italiana.

 

[**Video_box_2**]Sitcom a parte, l’offerta si moltiplica sempre più: ormai non solo su satelliti e digitale terrestre ma addirittura via internet, e in Cina lo streaming delle più frizzanti serie americane è già una popolarissima alternativa alle noiosissime serie imposte dal potere comunista. E ciò favorisce il successo dei prodotti di nicchia: dal medical drama stile “Dottor House”, al teen drama passando per l’heroic fantasy alla “Trono di spade”. La gran parte di questi successi sono statunitensi, appunto perché gli Usa sono all’avanguardia in questo processo di sempre maggior diversificazione. Eppure, anche in èra di globalizzazione spinta, la buona idea che si adatta alla realtà locale ha una marcia in più. La colombiana Betty la Fea è così passata negli Usa come Ugly Betty. “Sex and the City” è appena stata trasportata da New York a Accra con la storia delle cinque ghanesi in carriera raccontata in “An African City”. I madrileni “Serrano” sono diventati da noi i romanissimi “Cesaroni”, oltre che i cechi Horákovi, i portoghesi  Serranos, i greci Eftychisménoi mazí, i turchi Ilk Askim. La catalana “Polseres vermelles” ha figliato l’italiana “Braccialetti rossi”. E se i carabinieri del Ris sono un chiaro derivato di Csi, in compenso noi esportiamo sacerdoti: da don Matteo, divenuto Ojciec Mateusz in Polonia e il pope ortodosso Atec Matvey in Russia. Don Camillom nella Colombia degli anni ’50, doeva vedersela con un Pepón sindaco liberale.

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