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Perché nessuno brinderà a whisky nella Scozia orfana di Sua Maestà

Ugo Bertone

L’indipendenza può fare un brutto scherzo al nettare più prezioso: lo scotch whisky, il nobile distillato da non confondere con i più plebei whiskey d’Irlanda o con i distillati che il miliardario Vijay Mallya spaccia sul mercato indiano nonostante la fiera opposizione del governo di Sua Maestà.

Milano. Attento Braveheart, l’indipendenza può fare un brutto scherzo al nettare più prezioso della tua terra: lo scotch whisky, il nobile distillato da non confondere con i più plebei whiskey d’Irlanda o, peggio che mai, con i distillati che il miliardario Vijay Mallya spaccia sul mercato indiano nonostante la fiera opposizione del governo di Sua Maestà. Che potrà accadere se, complice l’ex agente di Sua Maestà britannica Sean Connery, un domani la Union Jack non proteggerà più i torbati delle highland protetti dallo Scotch Whisky Act approvato dal Parlamento di Westminster? “Crediamo che per l’intera industria dello scotch il cambiamento politico che deriverebbe dall’indipendenza scozzese comporti dei rischi in termini di tassazione e di rappresentanza nelle negoziazioni per il commercio internazionale, anche se la transizione sarà temporanea”.

 

Ecco quel che si legge in un report della banca svizzera Ubs che, tra l’altro, si occupa dei possibili effetti del referendum sui conti delle multinazionali degli alcolici Diageo e Pernod Ricard che, pur francesi nell’anima, devono al whisky il 30 per cento del margine operativo lordo. La secessione dal Regno Unito vale per le multinazionali del drink, a detta degli analisti della banca elvetica, il rischio retrocessione del rating, già decretato per Diageo. Per loro, come per le centinaia di altre aziende di un settore che, tra blended e pure malt, dà lavoro a 40 mila persone grazie all’export per 4 miliardi di sterline in duecento paesi, l’uscita dal Regno Unito rappresenta un pericolo concreto, in termini di dazi o di altri inghippi a danno dell’immagine dello scotch. In discussione, certo, non è il rapporto con i paesi dell’Unione europea o con gli Stati Uniti, ma come la mettiamo con gli altri clienti? L’associazione dei produttori di whisky ha già identificato un elenco di 600 potenziali barriere all’entrata per lo scotch, vuoi tramite la tassazione che con vincoli amministrativi, particolare nei paesi emergenti che rappresentano una regione chiave per l’industria in prospettiva ma anche oggi, visto che nella classifica dei grandi consumatori svetta l’India, davanti alla Russia (embargo permettendo) e alla Cina. Non è il solo problema. “Come sarà promosso lo Scotch?”, si è chiesto David Frost, presidente della Scotch Whisky Association.

 

[**Video_box_2**]Il governo scozzese parla di quasi 90 ambasciate in tutto il mondo. Oggi abbiamo ambasciate attraverso il Regno Unito in più di 150 mercati, che fanno un gran lavoro nel sostenerci. Comunque vada a finire il referendum noi continueremo ad aver bisogno di una rete planetaria con grande esperienza commerciale e capacità di influenza”. E se alla testa del network c’è una Regina è anche meglio. Sua Maestà Elisabetta II, così affezionata ai duemila cervi rossi della tenuta di Balmoral, sta facendo la sua parte. A luglio, madrina al varo della portaerei Queen Elizabeth nei cantieri di Rosyth, ha battezzato la nuova ammiraglia della Royal Navy con una bottiglia di Bowmore, in luogo del tradizionale champagne. “E’ un grave errore di calcolo pensare che eventi del genere possano promuovere la campagna del no”, ha detto il leader indipendentista, il premier scozzese Alex Salmond. Ma anche lui sa che, alla fine, la sfida sarà decisa dalla scelta tra due modelli di crescita.

 

Da una parte lui, ex economista del petrolio, suggerisce il modello Oslo: la Scozia, forte delle royalty del settore petrolifero, può investire sull’industria avanzata e sulla new economy, sufficienti a garantire la prosperità a un paese di 5 milioni di abitanti. Non è una tesi sbagliata, riconosce il settimanale Economist, ma non va dimenticato che il petrolio del Mare del nord va verso l’esaurimento. E sul futuro della Scozia, gravata da un debito pubblico pro capite più alto del 15 per cento rispetto all’Inghilterra, rischia grosso sul fronte della sterlina, soprattutto dopo che il governatore della Bank of England ha fatto sapere che sarebbe “problematico” consentire l’uso della sterlina alla Scozia diventata indipendente. E così le grandi banche, come Royal Bank of Scotland, e i fondi di investimento, vanto di Edimburgo fin dai tempi delle mutue dedicate alle “vedove scozzesi”, progettano l’esodo a sud del Clyde nel caso della vittoria del sì.