L'imperatore Hirohito (Foto AP)

Gli annali dell'imperatore Hirohito sforbiciati dal trono del Crisantemo

Giulia Pompili

Qualche giorno fa l’Agenzia della famiglia imperiale ha pubblicato gli attesi annuari dell’èra Showa, quella del padre dell’attuale imperatore giapponese Akihito. Hirohito regnò per 62 anni e 14 giorni, dal 1926 fino alla sua morte nel 1989.

Roma. Messi uno sopra l’altro, misurano esattamente un metro e ottanta centimetri i sessantuno libri che raccolgono tutta la storia dell’imperatore Hirohito. Tutta, si fa per dire. Qualche giorno fa l’Agenzia della famiglia imperiale ha pubblicato gli attesi annuari dell’èra Showa, quella del padre dell’attuale imperatore giapponese Akihito. Hirohito regnò per 62 anni e 14 giorni, dal 1926 fino alla sua morte nel 1989. I suoi annuari erano attesi dagli storiografi perché Hirohito è l’imperatore che portò il Giappone dentro la Seconda guerra mondiale e che poi, il 14 agosto del 1945, annunciò via radio la resa all’America che aveva colpito il popolo giapponese con le due bombe di Hiroshima e Nagasaki. Hirohito è l’imperatore che cancellò, con il discorso “Tenno no ningen sengen”, nel gennaio dell’anno successivo, i secoli di tradizione scintoista riconoscendo la natura umana dell’imperatore. Eppure, come notava martedì scorso il quotidiano Mainichi, gli annali appena pubblicati si soffermano molto sull’infanzia dell’imperatore, sulle sue lettere da ragazzo, e poco o niente sul periodo veramente importante del regno: “La storia moderna, compresa la storia della Showa, è complessa come un labirinto in una profonda foresta. Ci si aspettava che gli annali dell’imperatore Showa facessero luce sulle sue decisioni nelle varie fasi di quel periodo.

 

Tuttavia, i 60 volumi non contengono nulla che possa ribaltare quelli che sono considerati fatti storici già stabiliti”. Hirohito è una delle figure più controverse del Giappone moderno soprattutto dopo la sua “conversione” all’alleanza occidentale – di fatto, gli Alleati scrissero per lui la Costituzione del Giappone moderno, la cui interpretazione è stata cambiata dall’attuale premier Shinzo Abe, ma che ha impedito per quarant’anni a Tokyo di avere un esercito. Secondo il quotidiano conservatore Yomiuri, nella pubblicazione mancano anche le parole pronunciate da Hirohito in difesa del controverso santuario Yasukuni, dove sono ricordati alcuni criminali di guerra (una recente visita di Shinzo Abe ha generato tensioni diplomatiche con i paesi alleati). Nonostante la celerità di pubblicazione – solo 24 anni dopo la morte di Hirohito, niente rispetto ai cinquanta/ottant’anni di media per le compilazioni – secondo alcuni osservatori il fatto che l’Agenzia imperiale si sia tenuta così fredda su alcune questioni riguarda proprio la convenienza politica di non rievocare fantasmi nazionalisti e antiamericani, specialmente oggi, con Abe al governo e nuove accuse di sciovinismo.

 

Gli annali sono una tradizione antichissima in Giappone. Esistono almeno sei annali con le registrazioni più complete di eventi e decisioni prese alla corte imperiale nei suoi periodi più antichi (VIII-X secolo). Con la restaurazione Meiji il trono del Crisantemo, ovvero la Casa imperiale giapponese, ricominciò a compilare gli annali degli imperatori per le future generazioni. Agli annali di Hirohito hanno lavorato 26 persone per un costo totale di 200 milioni di yen (quasi un milione e mezzo di euro).

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.