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Chi sono gli agricoltori italiani che resistono al bando ideologico

Giordano Masini

Prima di tutti c’è Giorgio Fidenato. E’ lui, piccolo agricoltore friulano, il simbolo di quelli che resistono, che non accettano di piegarsi al divieto di coltivare mais geneticamente modificato. Divieto che considerano illegittimo prima ancora che irrazionale.

Roma. Prima di tutti c’è Giorgio Fidenato. E’ lui, piccolo agricoltore friulano, il simbolo di quelli che resistono, che non accettano di piegarsi al divieto di coltivare mais geneticamente modificato. Divieto che considerano illegittimo prima ancora che irrazionale. Fidenato ne ha passate di tutti i colori, i suoi campi nel corso degli anni sono stati vandalizzati dai no global e dai centri sociali prima che fatti a pezzi dalle trinciatrici mandate dal Corpo Forestale, e nonostante questo è deciso ad andare avanti: “Appena scade l’ordinanza di sequestro tornerò a seminare mais Mon 810. Lo farò a settembre. Anche se non arriverà mai a maturazione”, dice al Foglio. Fidenato appare come un eroe solitario, ma tiene a far sapere che non lo è: “Erano in tanti quelli disposti a seguirmi, a seminare mais Ogm nelle loro aziende, poi ha prevalso la paura dei vandali e delle conseguenze penali e amministrative. Chi mantiene la famiglia col suo lavoro di agricoltore non può rischiare tanto. Ma in Friuli sono tutti dalla mia parte”. Tra le tante leggende che girano intorno agli Ogm, c’è anche quella secondo la quale gli agricoltori italiani sarebbero contrari alla loro commercializzazione. Ed è proprio in Friuli, dove il mais è la coltura prevalente, che è nata l’associazione Futuragra che rappresenta gli agricoltori attivi nella battaglia per il superamento del divieto alla coltivazione di varietà Ogm.

 

Anche il suo vicepresidente, Silvano Dalla Libera, sa cosa significa mettersi contro il pensiero dominante in materia di biotech agricolo: lo scorso mese di marzo la sua casa è stata presa d’assalto da un gruppo di no global, mentre la sua famiglia era barricata all’interno. Hanno tirato dei fumogeni nelle finestre e si è rischiata la tragedia. E poi ci sono i lombardi: dalle pianure della Bassa mantovana provengono il 10 per cento delle forme di Parmigiano Reggiano, il 30 per cento del Granapadano, oltre al 30 e il 35 per cento delle cosce di maiale che diventeranno prosciutti di Parma e San Daniele.

 

Confagricoltura Mantova, che rappresenta metà dei 160.000 ettari di superficie agricola della provincia, ha lanciato una petizione per chiedere alla regione Lombardia di consentire le semine di mais Ogm. In pochi giorni le adesioni sono state migliaia. Quello che non riescono ad accettare è che la maggior parte del mais con cui sono costituiti i mangimi che alimentano i loro allevamenti sia già Ogm, ma importato dall’estero. Non lo possono produrre ma devono importarlo, e devono importarlo perché è più sano: è infatti immune alla piralide, un parassita che scava dei solchi nelle pannocchie, all’interno dei quali si annidano delle muffe, note come fumonisine. Le fumonisine sono cancerogene, e quelle presenti nel mais italiano spesso superano la soglia minima ammessa, a differenza di quelle presenti nel mais geneticamente modificato. Ma tra quanti che resistono al bando agli Ogm non ci sono solo gli agricoltori. La ricerca italiana era all’avanguardia nel campo del miglioramento genetico delle piante agrarie, mentre oggi i giovani laureati in biotecnologie se ne vanno all’estero. Qualcuno di loro non ci sta, come Federico Baglioni che ha fondato l’associazione Italia Unita per la Scienza per contrastare la disinformazione scientifica, anche nelle istituzioni: “Andando avanti con gli studi, soprattutto dopo la laurea – ci dice – è diventato evidente come questo paese non avesse bisogno di noi. E’ sconfortante”.

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