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Com'è difficile fare politica e fare i giornali in Giappone (se sei una donna)

Giulia Pompili

Nel rimpasto di governo Shinzo Abe piazza alcune donne, ma per le mamme che lavorano c’è ancora molto da fare. Parola di caporedattrice

Il rimpasto del governo guidato da Shinzo Abe era quasi un atto dovuto. Perché non puoi passare il tempo a ripetere ai tuoi elettori che per far ripartire l’economia e per far funzionare l’Abenomics bisogna riportare le donne nel mondo del lavoro se il tuo esecutivo è quasi tutto al maschile. Una settimana fa il primo ministro di Tokyo ha cambiato la squadra di governo facendo salire il numero di ministri a diciotto, ma soprattutto reclutando cinque donne – un record per un governo giapponese. Una mossa efficace, nei giorni in cui l’economia giapponese registra dati peggiori del previsto (di ieri la revisione al ribasso delle stime preliminari sul pil reale del secondo trimestre:  -7,1 per cento) e dopo la modifica dell’interpretazione della Costituzione pacifista giapponese, che aveva fatto scendere di molto l’approvazione del governo di Abe. Subito dopo il rimpasto, invece, l’attuale governo di Tokyo ha visto aumentare il suo gradimento. Secondo un  sondaggio condotto dallo Yomiuri shimbun il 64 per cento degli intervistati ha espresso favore nei confronti dell’esecutivo, il 13 per cento in più dei dati registrati all’inizio di agosto. Ma sarà davvero tutto merito delle donne?.

 

Per due dicasteri strategici, in realtà, non è cambiato nulla. Taro Aso è rimasto all’Economia e Fumio Kishida agli Esteri. Itsunori Onodera, che era ministro della Difesa, è stato sostituito da Akinori Eto. Eppure anche le cinque signore del governo hanno ricevuto incarichi di prestigio: Yuko Obuchi è il nuovo ministro dell’Economia, del commercio e dell’industria, Midori Matsushima si occuperà della complicata situazione della Giustizia giapponese (qui si spiega perché così complicata), Shigeru Ishiba è il nuovo ministro per il rilancio delle economie regionali. Con molta eleganza Haruko Arimura, nuovo ministro per le Pari opportunità, ed Eriko Yamatani, che andrà al dicastero che si occupa della questione dei rapimenti e della Commissione nazionale di Pubblica sicurezza, si sono presentate alla cerimonia Palazzo imperiale di Tokyo vestite in kimono, l’abito tradizionale giapponese. La Obuchi, come nella migliore tradizione politica giapponese figlia s’arte di Keizo Obuchi, ex primo ministro giapponese, con i suoi quarant’anni è la donna più giovane dell’esecutivo e promettente stella della politica. La Akimura, che ha anche la delega al problema demografico, prima di entrare in politica era una dipendente di McDonald’s Japan.

 

[**Video_box_2**]Come nota il Wall Street Journal, almeno cinque dei nuovi membri del governo di Shinzo Abe sono ex giornalisti, comprese tre delle nuove ministre. Politica e giornalismo sono due ambienti molto maschili, nel Giappone tradizionale e conservatore (e qui abbiamo spiegato dettagliatamente il perché). Eppure la mossa di Shinzo Abe dà voce a un sentimento che sta cambiando: “Penso che il Giappone abbia bisogno di cambiare molto più velocemente”, dice al Foglio Sayuri Daimon, prima donna a ricoprire il ruolo di caporedattrice nei 117 anni di storia del quotidiano giapponese Japan Times. “I giovani giapponesi stanno diventando più liberali e un numero sempre maggiore di loro mostra rispetto per le donne, ma la società e il mondo del lavoro è ancora un posto per uomini. Non credo che la Womenomics di Abe, da sola, possa cambiare la società giapponese, ma di sicuro sta mettendo pressione sulle aziende e la gente ha iniziato a prestare attenzione al problema. Quindi, accolgo con favore la Womenomics nella speranza che possa spingere il Giappone a fare dei passi in avanti”. Ma com’è stata accolta la sua nomina, circa un anno fa, al coordinamento di un giornale prestigioso? “Nella mia azienda lavorano molti stranieri e molti dei miei colleghi sono liberali rispetto ad altri ambienti giapponesi”, spiega Sayuri, “qui non ho avvertito alcuna difficoltà data dal fatto di essere una donna. Ma il giornalismo in Giappone, in generale, è un lavoro maschile. Qui esiste un sistema di club di stampa e sono stata spesso l'unica donna del club, ognuno dei quali conta più o meno 50 persone. Quindi ho affrontato commenti discriminatori da parte di alcuni politici, imprenditori e giornalisti maschi, soprattutto quelli più anziani, quando ero giovane. (Non tanto ora)”.

 

E poi c’è il problema dell’assistenza per le donne lavoratrici, che di per sé, in Giappone, costituisce una discriminazione: “Dal momento che tutti lavorano molte ore e spesso ci si aspettava che rimanessimo fino a tardi per coprire le notizie, e anche questo era difficile per me. Il settore più duro è quello della politica, perché dovevamo seguire i politici dalla mattina fino a tarda notte alla ricerca di notizie, ed è impossibile avere un modello di lavoro simile per le madri che lavorano”. Eppure lei adesso è sposata: “Sono sposata e ho una figlia di dieci anni. Ho scelto questo lavoro perché volevo contribuire alla società scrivendo. E poi volevo essere un ponte tra i paesi stranieri e il Giappone scrivendo in inglese e migliorando la comprensione reciproca. Ma non posso gestire famiglia e lavoro senza l'aiuto di mio marito. E’ stato estremamente utile per gli impegni della famiglia. E penso che sia stato un bene essere stata promossa a un ruolo di gestione, perché il mio orario di lavoro è diventato più flessibile. Se fossi rimasta una reporter, sarebbe stato molto difficile avere un equilibrio vita-lavoro”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.