Piercamillo Davigo (foto LaPresse)

Una Giustizia per avvocati

Redazione

Giuste critiche di Davigo alla categoria forense (senza scordare il resto).

Con l’acutezza che da sempre gli viene riconosciuta, Piercamillo Davigo, giudice in Cassazione con un passato da pm milanese, ha sviluppato, nel corso degli incontri del forum Ambrosetti di Cernobbio, una critica alla riforma della Giustizia annunciata dall’esecutivo non priva di una certa efficacia. Invece di difendere a spada tratta la categoria dei magistrati, magari con i toni eroicomici del suo collega Alfredo Robledo, che vede addirittura nelle norme di pensionamento delle toghe un rischio di controllo totale sulla magistratura, Davigo si occupa delle norme per accelerare la Giustizia civile, su cui tutti sembrano più o meno d’accordo, per denunciarne l’assoluto rischio di inefficacia.

 

Per colpa di una casta resiliente tanto quanto quella dei magistrati: gli avvocati. Davigo considera che la causa dell’immensa litigiosità, cioè del numero strabordante di liti giudiziarie che intasano i tribunali italiani risieda nell’interesse della categoria degli avvocati, numerosissima e assai potente e ramificata. I dati sembrano dargli ragione: è vero che il numero dei procedimenti e quello degli avvocati in Italia sono multipli di quelli di paesi come la Francia o la Gran Bretagna. E’  vero anche che il numero delle leggi italiane, mai nessuno è riuscito a contarlo, è almeno tre volte maggiore di quello delle leggi in vigore in Germania, e il loro contenuto spesso ambiguo ed esposto a interpretazioni “creative”. Ma questo non toglie ragioni all’affondo di Davigo. Per il magistrato di Cassazione è infatti necessario che ci sia un filtro contro le cause inammissibili, perché palesemente infondate, secondo lui accese solo per l’interesse della lobby forense.

 

[**Video_box_2**]Davigo arriva a suggerire anche il numero chiuso nelle facoltà di Giurisprudenza. Naturalmente tutto questo è più facile dirlo che farlo: in un sistema che ha potuto permettere la messa in scena di colossali processi finiti poi nel nulla da parte dei più titolati procuratori, a Napoli come a Palermo, come si può negare a un azzeccagarbugli di provincia di tentare la sorte in tribunale? In ogni caso, però, le osservazioni di Davigo hanno un fondamento evidente e potrebbero essere prese seriamente in considerazione per perfezionare le norme sul processo civile. O quanto meno, Renzi dovrebbe tenere conto dell’esistenza di quest’altra categoria di naturali frenatori. Ci sono troppi avvocati perché ci sono troppe cause o viceversa? Non ha molta importanza saperlo, ma è certo che ridurre il numero delle liti e la durata dei procedimenti probabilmente finirà con il limitare anche la dimensione della categoria forense. Naturalmente tutta questa attenzione sul processo civile non cancella l’esigenza di intervenire sulle intercettazioni e la responsabilità civile, temi dai quali forse Davigo ha voluto abilmente tenersi distante.