Pedro Sánchez (Foto Lapresse)

A spasso con Pedro

Eugenio Cau

Sánchez è pronto a ripudiare i totem della sinistra spagnola, ma sul lessico c’è da lavorare.

Bologna. “Tu l’hai fatta la foto con Pedro?”. A Bologna, alla Festa dell’Unità, le organizzatrici e le volontarie si chiedevano solo questo. E lui, Pedro Sánchez, 42 anni, da un paio di mesi segretario generale del Partito socialista spagnolo, soprannominato “el guapo” per ragioni che basta digitare il suo nome su Google per comprenderle, ne ha fatte, di foto. Un selfie ogni due-tre metri, in media, nei brevi percorsi tra il palco della Festa e il prefabbricato che faceva da quartier generale. La piccola delegazione spagnola, tre persone in tutto, a Bologna arriva in sordina. In tarda mattinata, accompagnati da Federica Mogherini. I giornalisti che aspettano sotto il sole li vedono, esclamano “c’è la Moghe!”, e a malapena si accorgono di Sánchez, leader a sorpresa, eletto a metà luglio in elezioni primarie che non erano state costruite per lui. Il tour spagnolo inizia su un palchetto appartato, dove il segretario generale risponde alle domande di un paio di corrispondenti spagnoli (tra cui quello del Mundo, che il giorno dopo deve spiegare con sensibilità gastronomica in cosa consiste il “pacto de los tortellini”). Sulla via verso l’osteria Bertoldo (il luogo dei “los tortellini”) i pochi spagnoli sono inglobati dalla nuvola di giornalisti che accompagna Matteo Renzi e Manuel Valls, e la differenza tra i due premier e lo spagnolo, che nel gruppetto della “nuova sinistra europea” è l’ultimo arrivato, si vede.

 

Poi però arriva il palco, arriva la fila delle camicie bianche, e sotto il tendone di Bologna l’italiano madrileño di Sánchez, anche se meno sicuro di quello arrotato di Valls, è il più applaudito. Il nuovo leader dei socialisti spagnoli infila alcune frasi da boato, come quando, sul finale, dice che “recupereremo il futuro degli spagnoli lasciando la destra senza futuro”. E quando parla delle donne che perdono il lavoro e dei giovani che chiedono opportunità (meritocrazia non pervenuta), la platea bolognese, che pure si è data al renzismo con l’entusiasmo del convertito di recente, sente alcune vecchie corde tornare a suonare.

 

Con il Foglio, poco dopo, Sánchez riconoscerà che le misure di austerità del governo di Mariano Rajoy hanno fatto ripartire il pil, ma le soluzioni, per lui, non sono sufficienti. Nella “vera Spagna”, dice, “la disoccupazione è al 25 per cento”. C’è bisogno di cambiamento, e questo deve venire anzitutto dall’interno del Partito socialista. Sánchez è stato eletto come un candidato di rottura, e quando il Foglio gli chiede se la sinistra spagnola è pronta a ripudiare i suoi vecchi totem, lui risponderà “sì”, convinto. Alla fine del discorso Renzi lo acclama come “il prossimo primo ministro spagnolo”, e da quel momento inizia il fiume dei selfie, e dei commenti su quei jeans, che cadono così bene.

 

Al Foglio Pedro Sánchez parla solo in serata, dopo essere stato l’unico, tra i leader della “nuova sinistra europea”, ad ascoltare anche il discorso di chiusura di Matteo Renzi, ai piedi del palco con le cuffie per la traduzione simultanea, stretto tra la sua responsabile per le relazioni internazionali, l’ex ministra di Zapatero Carme Chacón, e Maria Elena Boschi. Bisogna aspettare Verónica Fumanal, la responsabile dei rapporti con la stampa, una professionista della comunicazione, non una donna del partito, che per tutto il giorno ha portato Sánchez quasi per mano, ma che come tutta la squadra del segretario è stata arruolata da pochissimo (lei a metà agosto, dicono i giornali spagnoli), ed è tanto nuova che a un certo punto Sánchez, colto sovrappensiero, sembra dimenticare il suo nome. Il Foglio chiede a Sánchez dell’unità della sinistra, che è stato il tema un po’ di tutti gli interventi, e dell’impresa che sarà tenere insieme la sinistra europea (in Spagna il Psoe ha promesso primarie per scegliere il candidato premier, avrebbero dovuto essere a novembre ma la data è incerta, Sánchez per ora è l’unico candidato ma la sua vittoria a sorpresa a luglio ha scontentato molti). La domanda è su cosa unisca i leader della nuova sinistra, e l’impressione che si ricava dalla risposta è che la prima cosa che li divide è il lessico. “Penso che la chiave [dell’unione] sia nei valori”, dice Sánchez. “Con i valori del socialismo, della sinistra, dell’uguaglianza, della passione per la giustizia sociale, della libertà dobbiamo riuscire a rispondere alle stesse sfide di sempre: la globalizzazione, il cambiamento climatico e una crisi che sta creando molta disoccupazione”. La differenza con le parole d’ordine di Matteo Renzi, che il socialismo puro non l’ha mai avuto nel suo vocabolario, e la “passione per la giustizia sociale” spesso la sottintende, è notevole.

 

Sánchez parla a voce basa, quasi un sussurro, lo si direbbe un professore abituato alle aule silenziose (lo è, di Storia del pensiero economico), se solo poco prima non avesse messo tanta energia sul palco. A luglio, poco dopo la sua nomina a segretario, in un’intervista al País disse che tra i suoi modelli c’era Matteo Renzi, ma in seguito si è limitato al pantheon classico della sinistra spagnola: Felipe González sempre, José Luis Rodríguez Zapatero, con cui è in ottimi rapporti personali, a volte. Ma se c’è un modo in cui la sinistra renziana è tornata a vincere è ripudiare i vecchi modelli. Quando il Foglio chiede a Sánchez se la sinistra spagnola è pronta a fare lo stesso, la risposta è sì. “Una cosa che abbiamo in comune in questa sinistra di nuovi leader come Renzi in Italia e me in Spagna”, dice, “è che dobbiamo essere campioni della modernizzazione, del cambiamento: siamo la sinistra che aspira a governare. C’è un’altra sinistra che protesta, che si accontenta di dimenarsi inutilmente e che è legata al populismo. La nostra invece è una proposta di maggioranza, perciò sì, dobbiamo cambiare”. La “sinistra che si dimena inutilmente” è quella di Podemos, il partito di protesta che alle elezioni europee di questa primavera è diventato la terza forza della Spagna, prendendo voti in gran parte ai socialisti.

 

[**Video_box_2**]Le europee non sono andate bene nemmeno ai popolari di Mariano Rajoy, nonostante i buoni numeri che l’economia spagnola sta mostrando negli ultimi mesi. La Spagna è tornata a crescere, ad agosto il Fmi ha rivisto al rialzo le stime del pil, dallo 0,9 all’1,2, e l’occupazione, seppure lievemente, sta aumentando. Quando il Foglio fa notare a Sánchez che forse le ricette di austerità e crescita dei popolari stanno iniziando a funzionare, lui dice che non è abbastanza, traccia un quadro fosco, e dice che nella sua ricetta ci sono più investimenti pubblici: “Abbiamo bisogno di misure urgenti”, dice, “dobbiamo allungare il passo, andare più velocemente con gli investimenti pubblici per creare occupazione che per ora non si sta creando in Spagna. La crescita è aumentata minimamente, ma il tasso di disoccupazione è al 25 per cento. Ci sono molti giovani senza lavoro, molti se ne stanno andando dalla Spagna. Mancano le opportunità, c’è gente che ha più di 45 anni e che è disoccupata. Questa è la vera Spagna”. Poi Sánchez parla della disaffezione, della necessità di ripulire le istutuzioni (dopo i tanti scandali, da quelli della monarchia a quello dell’ex presidente catalano Jordi Pujol, che ha ammesso di aver commesso frode fiscale). Dice che trasparenza e lavoro sono “i due pilastri” della sua proposta politica, ed è evidente che Sánchez, con le elezioni in Spagna a fine 2015, può permettersi di entrare nel dettaglio solo in parte, e di prendersi tempo per raffinare le sue proposte. Una ce l’ha, forte, sarebbe la prima misura economica che vorrebbe far approvare se fosse nominato primo ministro: “Industrializzare la Spagna. Voglio che ci sia una fabbrica in ogni paese e in ogni città, perché questo vorrà dire che la ripresa economica è reale. I paesi che hanno un’industria forte sono i paesi che vincono, e in Europa stiamo perdendo le nostre industrie”.

 

Sánchez a Bologna è arrivato in sordina, ma domenica in serata i siti italiani parlano della “stella” dei socialisti spagnoli. Al momento di salutare il Foglio, dice che non ha fretta di ripartire, lo farà il giorno seguente di buon mattino. C’è il fiume dei selfie da attraversare, e Pedro ci si trova a suo agio, tanto che verso sera Matteo Orfini si dimentica un attimo di essere presidente del Pd e su Twitter scrive: “Donne democratiche, mo’ ve lo buco ’sto Pedro Sánchez”.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.