“E’ attraente e fa la differenza”, dice in un’intervista al New Yorker Paul Foley, responsabile marketing di musica classica negli Stati Uniti per Universal Music (foto da www.helenegrimaud.com)

Suona coi lupi

Mario Leone

Storia, talento e ribellioni di Hélène Grimaud, pianista solitaria che ama il suo pubblico e odia i luoghi comuni. Chopin, la Florida e quella lite con Abbado.

Hélène è molto dotata. Dovrebbe farle prendere delle lezioni di pianoforte”. Hélène è Hélène Grimaud, e con quel consiglio al padre inizia la storia musicale di una pianista cresciuta tra l’odore di lavanda e la luce che avvolge le architetture barocche di Aix-en-Provence in Francia, il paese ai piedi del massiccio Sainte Victoire caro a Paul Cézanne.

 

Hélène è una bambina solitaria e assetata di tutto, odia le bambole ma ama i libri. La lettura per lei più che conoscenza è un modo per coltivare l’immaginazione. A scuola assilla gli insegnanti con domande insistenti e interruzioni continue per soddisfare curiosità anche fuori luogo. La sua bulimia troverà risposta solo nella musica, che le apre orizzonti e la introduce a profondità nel rapporto con le cose.

 

Il carattere compulsivo di Hélène trova nel pentagramma la sua regola: la ricerca della perfezione e della simmetria tra le parti si legano con l’ostinazione, l’esuberanza e un’intensa espressività. Hélène ha un acuto senso del limite, soprattutto nei confronti del corpo, gabbia odiosa di cui il pianoforte diventa prolungamento naturale, un’estensione dell’essere. Toccare i tasti, affondarli, le procura piacere e un senso di soddisfazione. L’armonica compenetrazione tra respiro, pulsazione ritmica e il fluire della musica rende l’esperienza del suonare molto carnale, sensuale. Divora le partiture ancor prima di sedersi allo strumento, come se già pregustasse il tipo di tocco, di pressione da imprimere ai tasti per farli suonare al meglio.

 

[**Video_box_2**]Hélène sin da piccola mostra idee chiare anche nel repertorio: Chopin. Un’affinità innata: la raffinatezza, le atmosfere notturne, i momenti di grande luce palesano un rapporto amoroso tra i due. Ciò che più la infiamma della musica chopiniana è l’aver “emancipato la mano sinistra”. Da mancina, la pianista trova nel repertorio del compositore polacco quegli accenti di canto e di ritmo da un lato indipendenti e allo stesso tempo in continuo dialogo con la mano destra. Il trasporto per le Sonate e le Ballate di Chopin caratterizza tutti gli anni del Conservatorio. Ormai adolescente Hélène ne fa la colonna sonora delle sue giornate, Chopin diventa per lei una compagnia quotidiana e i suoi insegnanti, vista la propensione al repertorio romantico del maestro polacco, la invitano a non abbandonarne lo studio. Forse è proprio questa insistenza a generare nel suo carattere ostile a schemi chiusi e incapace di compromessi una sorta di rifiuto e un conseguente lungo periodo di assenza della musica chopiniana nel suo repertorio. Nel 1987, appena diciottenne, Hélène incide la Ballata n. 1 di Chopin insieme a brani di Liszt e Schumann, ma bisognerà attendere il 2005 per l’uscita di un disco nel quale sono presenti due Sonate: la seconda di Chopin (oltre alla Berceuse e la Barcarolle) e la seconda di Rachmaninov.

 

“Sapevo che sarei ritornata a Chopin. La domanda non era se, ma quando”, il suo commento liberatorio. Il quando succede grazie a un incontro con Maurizio Pollini.

 

E’ il maggio del 2004, Tokyo ospita un recital monografico su Chopin del pianista italiano. E’ una giornata di pioggia, di traffico e di fretta, come tante nella capitale giapponese. A renderla particolare agli occhi della Grimaud la curiosità di ascoltare Pollini. Mentre l’aria dell’Auditorium di Tokyo fa spazio ai primi suoni, Hélène è colta da un dubbio: “Perché ti privi di questa musica?”. C’è qualcosa di così penetrante nel modo in cui Pollini esegue la sonata in Sib minore che tutto intorno diviene lirico, nostalgico e poetico. “C’era qualcosa di urgente nella sua Sonata che ha riacceso la fiamma per Chopin. Adoro quando la vita ti prende in queste deviazioni inaspettate. E’ il modo migliore per scoprire le cose più belle”.

 

L’incontro con il mondo dei lupi ha segnato una di queste belle deviazioni. Un amore nato a Tallahassee, capitale della Florida. Una città apparentemente piatta, lontana dal mare e priva di sussulti vitali. Eppure qui la Grimaud decide di vivere lasciando Parigi.

 

 

Durante una lunga passeggiata notturna Hélène conosce Alawa, un esemplare femmina appartenente a Dennis, un vecchio signore con fama di tipo losco e per questo mal visto dal vicinato. “Ho semplicemente allungato le dita e, da sola, la lupa ha fatto scivolare la testa e poi le spalle sotto il mio palmo. Ho sentito una scintilla di tiro, uno choc, che attraversava tutto il mio corpo”.

 

Il caso non è mai privo di conseguenze per Hélène. Vuole sapere tutto sui lupi, conoscere, agire. Insieme all’allora compagno, il fotografo J. Henry Fair, dà vita al Wolf Conservation Center (South Salem, New York), al quale destina una superficie di ventinove ettari di terreno. Il progetto è inizialmente osteggiato dagli abitanti e dalle autorità locali, ma con il passare del tempo e l’aumentare delle visite, il Centro si è imposto come realtà consolidata e di riferimento per tutti gli studiosi di etologia. Non solo. La scoperta del “mondo dei lupi” ha coinciso con un percorso umano che ha riconciliato la Grimaud con l’umanità e con il suo stesso talento. “Entrare in una gabbia con dei lupi è come salire su di un palco. L’attenzione dev’essere al 100 per cento, non può esistere altro se non l’attività che stai svolgendo: produrre musica e condividerla con il pubblico”.

 

In alcuni ambienti della “musica colta” guardano al nuovo impegno di Hélène come a una stravaganza buona per alimentare l’alone di mistero del personaggio e la popolarità agli occhi del pubblico. Ma la Grimaud dedica seriamente tempo ed energie al progetto sottraendoli al pianoforte. Martha Argerich, pianista argentina di vasto talento, dice che se Hélène si fosse data completamente alla musica oggi sarebbe la più grande pianista del mondo.

 

Di certo è una delle più belle. Su tutte le copertine dei suoi dischi il viso è incorniciato come in una posa rinascimentale: malinconica e solitaria. Hélène ipnotizza chiunque incroci i suoi occhi “color acqua di scoglio”. “E’ attraente e fa la differenza”, dice in un’intervista al New Yorker Paul Foley, responsabile marketing di musica classica negli Stati Uniti per Universal Music, parlando dell’attrattiva che la Grimaud esercita su molti giovani, forse anche sugli ascoltatori meno impegnati e su chi è solito acquistare musica online: “Le sue copertine possono competere con quelle degli album pop che si trovano sulla home page di iTunes”.

 

Lo sguardo angelico cela, ma anche rivela, una personalità complessa, una donna dalle infinite contraddizioni e dalle aspirazioni contrastanti: intrattabile, insoddisfatta, indisciplinata, insaziabile, insubordinata, imprevedibile, totalmente ingestibile. Con il passare degli anni sempre più intollerante al conformismo e al già saputo. La continua ricerca di sé e di altro da sé che la tenga viva e vivace, unita all’intensa attività concertistica, la portano a lunghi periodi di solitudine e d’isolamento in giro per il mondo. In questi eremitaggi nascono i suoi libri. Uno dei suoi scritti più riusciti, “Lezioni private” del 2005, è figlio della sua permanenza ad Assisi e Orvieto.

 

La Grimaud è una pianista da circa cento concerti l’anno, il cui calibro è esaltato, se possibile, nel recital. Un luogo privilegiato in cui l’assoluto protagonista è il pubblico, quasi fosse interrogato, provocato dall’artista. Hélène, fin nei pochi istanti che separano la sua uscita dal camerino dal suo ingresso sul palco, sembra recepire le attese e gli umori della sala. E risponde solo con il suono. Null’altro. D’acciaio, a volte, feroce. Altre volte etereo, quasi clavicembalistico. E’ una pianista estrema che rischia la sua idea musicale sino alla fine, reinventando fraseggi, dinamiche e agogiche. Il suo suono unisce magistralmente l’indipendenza e l’unità. I suoi concerti sono un tentativo di provocare, ripensare e interrogare una saggezza pianistica un po’ fossilizzata. “Il suono della Grimaud – dice Maurizio Baglini, collega pisano – è raffinato e il suo approccio al pianoforte, alla musica e alla vita sono intelligenti. Le scelte di repertorio, come ad esempio l’accostare Bartók a Beethoven o Brahms sono molto interessanti” .

 

Non è azzardato accostare Hélène Grimaud a Glenn Gould, per sua stessa ammissione “fratello maggiore in musica”. Entrambi hanno la capacità di prendere una partitura e svincolarla da tutta la pratica che si è sviluppata intorno a essa. Il Bach eseguito dalla Grimaud ricorda per sicurezza ritmica ed estrema chiarezza dell’articolazione quello di Gould.
Dalle possibili vite parallele dei due artisti emerge un altro elemento in comune: l’impeto che li infiamma nel rapporto/scontro con il direttore d’orchestra.

 

8 aprile 1962, concerto della New York Philharmonic Orchestra. Leonard Bernstein sale sul podio e, dopo aver atteso che Glenn Gould si sistemi al pianoforte, improvvisamente si volta verso il pubblico per spiegare la sua totale disapprovazione per alcune scelte musicali di Gould, riaprendo l’eterna querelle tra chi, solista oppure direttore, abbia maggior peso nelle scelte interpretative. Sebbene si dichiari contrariato, Bernstein spiega: “Perché dirigo questo concerto? Perché sono affascinato e felice di aver l’occasione di conoscere un modo nuovo di considerare quest’opera così spesso eseguita”. Da quel giorno Gould e Bernstein non lavoreranno mai più insieme.

 

Parimenti eclatante la rottura tra la Grimaud e Claudio Abbado. Una collaborazione ventennale suggellata da tante somiglianze sia nella vita artistica sia nella vita privata (sono stati entrambi colpiti da una grave malattia) si è interrotta nell’ottobre 2011 all’annuncio dell’annullamento dei concerti estivi a Lucerna diretti da Abbado con l’Orchestra Mozart. All’origine del divorzio artistico una cadenza per pianoforte da inserire nella registrazione del concerto mozartiano n. 23 per la Deutsche Grammophon. La Grimaud propone la cadenza di Ferruccio Busoni mentre Abbado preferisce le originali cadenze mozartiane. Estenuanti discussioni, periodi di silenzio, ma anche lunghe telefonate, mediazioni di manager e colleghi comuni non scongiurano la frattura.

 

Per sfidare un direttore come Abbado serve coraggio, anche per una pianista affermata come la Grimaud. Lapidario, come al solito, il suo commento: “E’ chiaro che Claudio Abbado non ha alcun interesse a lavorare con qualcuno che non fa quel che lui vuole. Il compromesso, non è mai stato il mio forte. Nella vita bisogna fare delle scelte. Andare avanti cercando di mantenere le cose tranquille oppure lasciarsi guidare dalle proprie convinzioni disposti ad accettarne le conseguenze. Io preferisco la seconda. La vita è troppo breve”.

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