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Come armare i curdi contro Baghdadi senza armare il Pkk

Daniele Raineri

Le intelligence occidentali (più la Turchia) sono alle prese con la logistica dura del traffico d’armi. Un drone Predator sopra Raqqa.

Roma. I servizi segreti che stanno armando le milizie curde in Iraq contro lo Stato islamico hanno un problema: devono evitare che le armi finiscano in mano al Partito curdo dei lavoratori (Pkk), organizzazione che ha provato di essere efficiente in battaglia contro il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi ma che è sulla lista dei gruppi terroristici internazionali. Il timore è il Pkk che usi le armi per portare avanti la sua lotta separatista contro l’esercito turco (è un timore che vale anche per i curdi: prima o poi potrebbe usare le armi per ottenere l’indipendenza totale dal governo centrale di Baghdad. Ma per ora l’urgenza di contenere il jihad prevale sul resto).

 

Il Pkk finora ha guerreggiato meglio dei peshmerga, che sono stati leggendari combattenti contro l’esercito di Saddam Hussein, ma una generazione fa – i giovani sono più abituati a servire ai posti di blocco che alla guerriglia. I ribelli comunisti gravitano attorno alle montagne Qandil, più a nord rispetto alla zona d’operazioni, ma di recente hanno combattuto anche a Dohuk e tra i campi petroliferi di Kirkuk, dove hanno anche una base. I loro successi sul terreno stanno attirando un numero crescente di volontari, anche iracheni e iraniani. Si tratta di un effetto collaterale che preoccupa la Turchia e le cancellerie occidentali.

 

[**Video_box_2**]All’operazione semiclandestina a beneficio dei curdi partecipano la Cia americana, il francese Dgse, il MI6 britnanico, il Bnd tedesco e il Mit della Turchia. Secondo un sito vicino ai servizi francesi, la logistica è difficile. I peshmerga hanno da sempre usato armi di produzione sovietica, ma ottenere collaborazione da Mosca in questo momento è impensabile, considerato lo stato delle relazioni con il presidente russo Vladimir Putin. La Croazia e la Repubblica ceca hanno messo a disposizione una parte dei loro arsenali, con un finanziamento americano e tedesco. Praga manderà circa 500 tonnellate di materiale bellico tra fucili d’assalto, munizioni e granate. Italia, Francia, Gran Bretagna, Australia e Germania manderanno altro materiale, in qualche caso più sofisticato, come visori notturni e sistemi di comunicazione.

 

Il trasporto è affidato alla Cia e al Dgse, attraverso la base Nato di Incirlik, in Turchia, la più vicina al confine siriano e all’Iraq – da lì è partito probabilmente il raid per salvare gli ostaggi americani e inglesi a Raqqa fallito all’inizio di luglio. A Incirlik sono anche stazionati droni, e ieri Raqqa, capitale siriana dello Stato islamico, è stata sorvolata per tre ore da un Predator americano. La base turca è il perno avanzato delle operazioni occidentali contro lo Stato islamico. Da lì, le armi arrivano all’aeroporto di Erbil e cominciano i problemi di distribuzione, anche senza contare il Pkk.

 

I carichi devono essere spartiti tra il Pdk del presidente regionale del Kurdistan, Massoud Barzani, e l’Upk del presidente iracheno Jalal Talabani. La spartizione dev’essere fatta in modo equo, per non offendere una delle due parti, anche se il fronte occidentale, difeso dal Pdk, è più attivo. A presiedere questo pasaggio c’è il figlio di Barzani, Mansour, capo dell’intelligence curda addestrato negli Stati Uniti con un buon inglese e contatti nella Cia. Considerato vicino al Mit turco, conosce bene di persona anche il capo del Dgse francese Bernard Bajolet, che è stato ambasciatore in Iraq.

 

Questo traffico d’armi verso i curdi prelude a due altri passaggi significativi nella reazione all’avanzata dello Stato islamico: il primo è la formazione del nuovo governo iracheno nella capitale Baghdad, che dovrebbe essere chiuso entro l’11 settembre; l’altro è un possibile intervento della Nato in Iraq, che forse unificherebbe gli sforzi sparsi finora compiuti dai singoli stati.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)