Militari separatisti filorussi in Ucraina (foto Ap)

La pace in Europa è finita, ci dice il gran consigliere di Merkel

Andrea Affaticati

Elmar Brok, presidente della commissione Esteri a Strasburgo, spiega le mosse della Nato (pizzicando la Ashton).

Milano. Se la notizia, diffusa ieri e poi ritrattata, del cessate il fuoco in Ucraina ha fatto reagire positivamente le Borse internazionali, molto più caute sono state le reazioni di politici e commentatori. Il presidente americano Barack Obama, appena atterrato nella capitale estone Tallinn, ha dichiarato che di parole Putin ne ha già dette tante, è tempo di fatti.

 

Cosa abbia fatto fare al capo del Cremlino un passo conciliante è oggetto di speculazioni, forse c’entra il vertice della Nato che si apre oggi a Newport, in Galles. La crisi irachena e quella ucraina domineranno gli incontri, che inizialmente avrebbero dovuto riguardare soprattutto l’Afghanistan. Oppure Putin è stato indotto al dialogo dall’annuncio di nuove sanzioni da parte dell’Ue: Bruxelles ne ha già mandato l’elenco ai paesi membri. Tra le misure previste: un’ulteriore riduzione dell’accesso delle banche russe agli strumenti finanziari; una riduzione dei trasferimenti di tecnologie (in primo luogo quelle per l’industria estrattiva del greggio) e il boicottaggio dei Mondiali di calcio previsti in Russia nel 2018. Ma lo scetticismo dei politologi e dell’opinione pubblica è comprensibile. Fino a oggi Putin ha fatto il bello e il cattivo tempo, con l’Ue più in una posizione di preda che di predatore. Inoltre, le truppe separatiste sono a due passi da Mariupol’, città portuale che permetterebbe ai russi di portare rifornimenti alla Crimea anche via terra. Inoltre Putin ha annunciato per settembre altri lanci sperimentali di due nuovi modelli di razzi a lunga gittata.

 

Così la notizia della tregua ha fatto passare in secondo piano anche sui media tedeschi la timida apertura della Kanzlerin Angela Merkel nel valutare l’invio in Ucraina almeno di giubbotti antiproiettile, tende da campo e apparecchiature per vedere di notte. Gli ucraini, infatti, già quest’estate avevano chiesto 20 mila giubbotti antiproiettile, e ora che la Germania ha deciso di inviare armi ai peshmerga in Iraq, la richiesta si è fatta più insistente. Così come la domanda: perché i tedeschi mandano armi ai curdi e agli ucraini no? “Perché l’Italia invece ha spedito armi in Ucraina?”, ribatte parlando con il Foglio Elmar Brok.

 

Questo sessantottenne tedesco, membro della Cdu e consigliere di Merkel sulle questioni europee, siede al Parlamento europeo dal 1980, e salvo una legislatura è presidente della commissione Affari esteri e sicurezza del Pe dal 1999. Venerdì scorso era a Milano in occasione del vertice informale dei ministri degli Esteri europei, mentre martedì sedeva al fianco di Federica Mogherini quando lei, futuro Alto rappresentante della politica estera europea, dichiarava che la Russia non era più partner strategico per l’Unione. Una decisione che di per sé, e sul momento, farà poco male a Putin, lo ammette anche Brok, ma sul lungo periodo vorrà dire niente più collaborazione e aiuti da parte dell’Ue per sostenere e rafforzare lo sviluppo e l’ammodernamento del sistema economico e produttivo della Russia. “L’economia russa continua a reggersi sull’industria estrattiva, su gas e petrolio principalmente, e questo impedisce al paese di modernizzarsi”. Ovvio che le sanzioni economiche fanno molto più male.

 

Ma più delle sanzioni, quel che preme in questo momento a Brok è che gli stati dell’Ue si rendano conto che – per mano di Putin – è finita un’epoca: “L’Unione europea deve dire addio al sogno, durato venticinque anni, della pace eterna”. La possibilità di una guerra su terreno europeo non rientra più nel campo della fantapolitica. Per questo sono due i compiti urgenti che attendono l’Ue e la Nato. Innanzitutto un rafforzamento dell’Alleanza atlantica. Molti parlano di un ruolo più politico, Brok concorda, ma fa notare che solo rinforzando l’Alleanza militarmente questa potrà avere anche più peso politico. Intanto però qualcosa sul fronte orientale succede. Brok già in maggio aveva avanzato l’ipotesi di pattugliare i confini orientali dell’Ue, quelli dei paesi baltici in primo luogo, i quali, per quanto da dieci anni membri dell’Unione e della Nato, non hanno mai smesso di temere gli appetiti russi. Ora la Nato ha deciso di muoversi in tal senso. Meglio tardi che mai. “Non è esatto. Perché esiste un trattato del 1997 tra Russia e Nato. E solo l’evidente presenza di soldati russi nell’Ucraina orientale che combattono con i separatisti ha cambiato la situazione”. Al momento non si parla ancora di uno stazionamento fisso di truppe, ma di un rafforzamento delle infrastrutture militari, affinché in caso di necessità si possa essere immediatamente operativi. “Se però Putin continua nella sua sfida, non è detto che non si arrivi a un dislocamento permanente”, aggiunge Brok.

 

“Ognuno costruisce ancora le sue pallottole”
Il secondo compito riguarda la politica di Difesa e Sicurezza europea: c’è bisogno di più coesione. E’ vero che tenere insieme 28 stati è difficile, ma l’Ue deve finalmente decidere se vuole ridursi a essere solo un “global payer”, pagatore globale, o diventare finalmente anche “global player” scriveva in un recente articolo sempre Brok. E se si vuole diventare global player allora sarà inevitabile cedere parte della sovranità nazionale nelle politiche di difesa e sicurezza, per quanto ciò possa essere indigesto, e per quanto ora come ora, con rigurgiti nazionalisti un po’ ovunque, il compito si presenti ancora più arduo. Perché non si tratta di aumentare gli investimenti, il che, vista la crisi, i patti di stabilità, nessuno si potrebbe permettere. Molto più importante è rendere efficiente quel che si ha, collaborare e coordinarsi, facendo poi capo all’Agenzia europea per la Difesa, il cui compito è proprio quello di rafforzare la cooperazione tra gli stati nel settore degli armamenti e della tecnologia di difesa. “E invece, per dirla in modo spiccio, fino a oggi ognuno di noi ha continuato a costruirsi le sue pallottole”. Uno spreco di risorse, il solito sintomo di disunione tra gli stati membri e un preoccupante segnale del fatto che forse non tutti hanno capito la posta in gioco. Perché se una guerra sul Vecchio continente è tornata un’ipotesi possibile, visto che nessuno sa fino a dove Putin vorrà spingersi, le “battlegroup”, le forze militari di reazione rapida dell’Ue, composte dai soldati dei paesi membri, non sono più adeguate.

 

Bisogna che si sveglino gli stati, ma bisogna che si svegli anche Bruxelles, ammette Brok. Perché è sotto gli occhi di tutti quanto Catherine Ashton, l’attuale titolare della politica estera europea, sia stata inadeguata. “Priva di idee e iniziative per esempio riguardo all’Iraq – dice Brok – E così ogni stato è andato per conto proprio per quel che riguarda l’invio di armi ai peshmerga”. Brok spera infine che durante il vertice Nato “si prenda atto e si discuta dei cambiamenti avvenuti. Si prenda atto che l’articolo 5 del trattato della Nato, che prevede la difesa degli stati membri se invasi, potrebbe anche dover essere applicato”.