Un mercato di Caracas (Foto AP)

Vuoi comprare lo zucchero a Caracas? Lascia le impronte digitali

Redazione

Prendere le impronte digitali a chiunque faccia la spesa al supermercato. Avere a disposizione un archivio di dati biometrici di massaie, pensionati e cittadini. E’ l’ultima trovata del governo venezuelano.

Roma. Prendere le impronte digitali a chiunque faccia la spesa al supermercato. Avere a disposizione un archivio di dati biometrici di massaie, pensionati e cittadini. E’ l’ultima trovata del governo venezuelano. Servirebbe, secondo il presidente Nicolás Maduro, a combattere il contrabbando. Olio, zucchero, farina di mais e altri prodotti alimentari di base che scarseggiano in tutto il paese (lo ammette la stessa Banca centrale) sono distribuiti a prezzo politico in Venezuela. Spesso, però, non si trovano. Per riuscire ad aggiudicarsi una confezione di farina e una bottiglia d’olio bisogna fare file di sette, otto ore sotto il sole dei Caraibi sperando che, arrivato il proprio turno, gli scaffali non siano già vuoti.

 

Sarà sintomo di qualcosa che nel sistema non funziona? Sarà che le file chilometriche di aspiranti consumatori in attesa sono una caratteristica estetica dei modelli economici socialisti? Una plastica sintesi del loro fallimento? Nemmeno per sogno. Secondo il governo la colpa è dell’inefficienza dei supermercati che aprono poche casse alla volta, quando non boicottano deliberatamente la distribuzione per remare contro la Revolución. La fila, nella lettura ufficiale della realtà, è semmai conseguenza di un infame accaparramento. C’è cibo per tutti, dice Maduro, solo che qualcuno va al supermercato e compra a prezzo politico molto più di ciò che gli spetta per poi rivenderlo a prezzo maggiorato al mercato nero. Impediremo il traffico raccogliendo le impronte di chiunque si presenti alle casse del supermercato, promette.

 

Un apposito Superintendente de Precios Justos esiste già, è Andrés Eloy Méndez, che si dice pronto “a prendere misure di occupazione militare temporanea se necessario”. E così nel Venezuela stremato dall’inflazione al 60 per cento, con la benzina più a buon prezzo dell’acqua minerale ma con i distributori vuoti, torneranno a vedersi i militari armati di tutto punto per fare la guardia agli yogurt lungo le corsie dei supermercati. E a vigilare sui cassieri tenuti a ripetere a ogni cliente che sgarra: “Solo otto rotoli di carta igienica a persona!”.

 

Consapevole che il problema non è tanto la cattiva distribuzione, quanto la bassissima produzione di beni, Maduro nel giugno dell’anno scorso aveva fermato i consiglieri impazziti che gli suggerivano di schedare la gente al supermercato. Durante un comizio nello stato di Zulia, al confine con la Colombia, rotta d’oro del contrabbando (droga, più benzina e olio comprati a prezzo politico in Venezuela e rivenduti a Bogotá) per inaugurare la campagna “Soy consciente, consumo eficiente”, giurò: “La soluzione al problema degli scaffali vuoti non è un chip, la soluzione è produrre, produrre, produrre”. Poi, però, il nuovo consigliere all’Economia, il cubano Orlando Borrego, in pista dal ’59 al ministero dell’Economia dell’Avana, gli ha fatto cambiare idea.

 

Il Venezuela non produce quasi niente, a parte il petrolio. Compra dall’estero il 70 per cento di ciò che consuma. Compra perfino il cacao, di cui è stato per secoli il principale produttore mondiale. Compra addirittura la benzina. Il Venezuela è un esportatore di greggio, non di prodotto raffinato. Parte del petrolio che vende agli Stati Uniti lo ricompra trasformato in benzina. E lo paga in dollari. Da mesi caffè, zucchero, olio e farina sono prodotti introvabili anche nei mercati socialisti che il governo organizza per aggirare il sistema di distribuzione privata. Le imprese private dicono che, non potendo avere libero accesso ai dollari perché il governo ne limita la circolazione, non riescono a garantire i rifornimenti. E’ impossibile per i privati acquistare dollari al valore di cambio ufficiale, che è di 1 dollaro per 6,3 bolívares. Sono costretti a procurarsi dollari sul mercato nero a un prezzo che supera ormai gli 80 bolívares. Guadagnare in queste condizioni, giurano, è impossibile. Meglio chiudere.

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