A volte i novelli barbari preferiscono lo show, la sceneggiata pubblica. Un’attivista Femen sull’altare della chiesa della Maddalena, nel dicembre scorso a Parigi

I barbari d'Europa

Matteo Matzuzzi

Quasi raddoppiati nell’ultimo anno i casi di intolleranza verso i cristiani. Nel dossier sulla discriminazione il rosario nero di aggressioni, vandalismi e profanazioni.

Ni Dieu, ni Maître, ni Etat”, niente Dio né padroni, né stato. Vernice rossa su marmo bianco, in modo che si potesse vedere a grande distanza. E i parigini, almeno quelli che ancora distrattamente buttano ogni tanto l’occhio al Sacré Coeur, lassù a Montmartre, hanno visto bene lo sfregio, all’alba del 19 marzo scorso. “Non è mica la prima volta che succede”, calmò i giornalisti stranieri un tutt’altro che sorpreso Michel Bouttier, l’uomo che da tempo si occupa della manutenzione degli edifici culturali cittadini. Erano settimane di campagna elettorale, si doveva eleggere il sindaco, e i candidati subito sfogarono su Twitter e ogni altro social network a disposizione tutta la loro indignazione: “E’ una profanazione”, sbottò la socialista Anne Hidalgo, che poi le elezioni le avrebbe vinte. E il primo ministro, Manuel Valls, parlava pubblicamente e apertamente – nella République che fino a cinque mesi fa aveva come ministro dell’Educazione Vincent Peillon, quello che auspicava l’instaurazione di una “religione repubblicana” e si diceva convinto del fatto che “non si potrà mai costruire un paese libero con la religione cattolica” – di “offesa al credo cattolico”. Meno enfasi, invece, dai vescovi, che guardavano alle scritte rosse sul Sacro Cuore con rassegnazione, scoramento e stanchezza nient’affatto celata: “Sono fatti che si ripetono periodicamente. Non è un atto circostanziato. Se ho ben capito, quel messaggio rimanda a un’ideologia ben nota. Non bisogna vedervi un’aggressione particolare alla basilica o ai cattolici, ma una forma di anticlericalismo violento”, diceva qualche ora dopo la scoperta dell’oltraggio il cardinale arcivescovo di Parigi, mons. André Vingt-Trois, abituato ormai a vedere Notre-Dame gremita di turisti in infradito più che di fedeli propensi a santificare le feste.

 

Niente assalto ai cattolici dunque, benché dinanzi all’austero portone dell’edificio ci fosse scritto, a caratteri cubitali, “feu aux chapelles”, fuoco alle cappelle. Gli autori del gesto, s’affannava a spiegare qualche illuminato intellettuale autoctono, volevano semplicemente ricordare il 18 marzo 1871, giorno in cui fu istituita la (poco) gloriosa Commune. Simbolo di laicismo esasperato, dunque, che finiva con l’imbrattare i muri di un edificio di culto cristiano. Benedetto XVI aveva avvertito per tempo, ancora una volta inascoltato, che l’uomo d’oggi, così lontano dal nutrire quel “désir de Dieu” di cui parlò nella monumentale lezione al Collegio dei Bernardini, nel settembre del 2008, avrebbe fatto bene a non trasformare il secolarismo in una religione o in una caricatura di essa. Perché le conseguenze, a quel punto, sarebbero state serie e irrimediabili.

 

E che il cristiano stia diventando un estraneo nella (un tempo) cristianissima Europa, lo dimostrano anche i numeri dell’ultimo Rapporto dell’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani, diffuso in Italia dall’Osservatorio internazionale “Cardinale Van Thuân”. Cifre impietose: duecentoquarantuno casi “documentati uno per uno” di intolleranza contro i cristiani, in aumento rispetto a dodici mesi prima, quando erano stati accertati “solamente” centotrentatré episodi. Per alcune chiese si tratta della prima profanazione, per altre della seconda, della terza o perfino della quarta. Dietro, ci sono teppisti, ladri alla ricerca di qualche oggetto di valore, membri di gruppi o sette sataniche. E tutto questo avviene in Europa, soprattutto nel suo cuore più profondo, tra la Germania e l’Austria, la Francia e il Belgio. Non a Mosul, Qaraqosh o in qualche altra città o villaggio della piana di Ninive, dove ai nazareni marchiati con la “N” viene requisito tutto, dai documenti alle scarpe, e chiesto loro di convertirsi o di pagare la jizya, l’antica tassa che i sudditi non musulmani del sultano ottomano dovevano versare all’erario.
“La società europea, sempre più secolarizzata, lascia sempre meno spazio al cristianesimo”, nota la direttrice dell’Osservatorio, Gudrun Kugler: “Alcuni governi e attori della società civile lavorano nel senso dell’esclusione anziché dell’accoglienza”. Si va dalle chiese distrutte alle croci divelte, dagli altari profanati ai tabernacoli violati. Ma l’intolleranza, chiarisce bene il Rapporto, si verifica soprattutto nell’ambito delle limitazioni all’obiezione di coscienza, del boicottaggio della libertà di parola attraverso misure legislative in materia di discorso dell’odio, delle politiche di discriminazione dell’uguaglianza e di limitazione dei diritti dei genitori in materia di educazione sessuale, nonché nell’area della libertà di riunione. Per farsi un’idea, basti pensare che nell’ultimo anno sono state contate quarantuno leggi che ostacolano il libero esercizio della fede per i cristiani in quattordici paesi europei. Si va dalle idee e manifesti del francese Peillon alla circolare del governo regionale delle Asturie che ordina alle scuole di rimuovere dai calendari ogni accenno alle vacanze di Natale. Qualcuno potrebbe rimanere scioccato o vivere ciò come una discriminazione, pensando che tra regali da scartare e sciate in compagnia di mezzo ci sia il ricordo della nascita di Gesù Cristo: meglio allora parlare di “vacanze invernali”. Più sobrio, neutro e soprattutto politicamente corretto. Per non parlare delle polemiche austriache sul divieto di usare l’espressione di saluto “Grüss Gott” tra i corridoi del ministero della Salute. Il motivo? Letteralmente, le due parole significherebbero “Dio sia con te”. Qualcuno, anche in questo caso, potrebbe offendersi o sentirsi vittima di una qualche forma di persecuzione religiosa. Tutto questo senza la necessità di spostare la lente sul grande malato del continente, il Belgio, dove le chiese del centro di Bruxelles, come quella di Santa Caterina – la seconda più grande della città – possono essere trasformate in mercati ortofrutticoli, con il banco dei cavoli dove un tempo era collocato il maestoso altare. O dove, morto e sepolto il possibile futuro beato Baldovino, si rende legale l’eutanasia sui bambini dopo aver da decenni dato il via libera all’aborto. Senza stare a pensarci su troppo o dando luogo a estenuanti dibattiti culturali e politici.

 

Secolarizzazione che diventa una caricatura della religione, appunto. E’ quella che Ratzinger definì “l’apostasia dell’Europa da se stessa” e che il cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, ricordava per invitare l’Europa a riscoprire “la sua anima”, cioè “il saper rispettare la dignità costitutiva di ogni singola persona”. In occasione dell’ultimo discorso alla città in onore di sant’Ambrogio, Scola mise in guardia “da una modernità che non vuole disfarsi ideologicamente del suo lato obiettivamente ombroso”. E “l’aspetto doloroso della secolarizzazione” – che ha uno sbocco inevitabilmente “anti umanista” – “non sta nella messa in discussione del ruolo storico della religione, ma nel suo esito, per cui la contestazione della religione diventa negazione delle stesse basi umanistiche della civiltà occidentale”. Da qui, aggiungeva il porporato, “nascono certe posizioni dure dell’umanesimo esclusivo del nostro tempo, che spesso nascondono la pretesa di ricostruire il mondo con soggetti irrisolti e in profonda crisi con se stessi”. Gli esempi non mancano: dalla hostess britannica cui viene vietato di esibire una catenina con la croce, alla conduttrice del tg norvegese Siv Kristin Saellmann, bandita dalla tv perché rea d’essersi presentata davanti agli schermi nazionali con una collana con pendente a forma di croce. La comunità islamica locale protestò e i vertici della televisione per cui la conduttrice lavorava le chiesero di adeguarsi. Evidentemente si sono scordati, i manager così solerti nell’applicare il politicamente corretto, che la bandiera nazionale norvegese non è altro che una croce blu su fondo rosso.
“C’è una generale diffidenza verso l’elemento religioso, c’è l’idea che la fede debba essere eliminata dalla sfera pubblica”, spiegava la direttrice dell’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani, Gudrun Kugler, al New York Times qualche tempo fa. “C’è una corrente davvero forte di secolarismo radicale che considera il cristianesimo dominatore ingiusto per secoli e che quindi va messo al suo posto”, aggiungeva.

 

Da tre mesi, il mondo inorridisce per la persecuzione delle minoranze in Iraq. Ora sono passati in azione i tagliagole, che agitano i loro coltellacci da macellaio e postano con cura il tutto su YouTube, in modo che il mondo sappia cosa tocca all’infedele che rifiuta di convertirsi o di pagare il fio. Tutto era iniziato, agli albori dell’estate, con l’occupazione di Ninive, con gli incendi appiccati ai vescovadi locali, con la cacciata dei monaci che da due millenni pregano in aramaico negli antichi monasteri scavati nelle rocce. “Risparmiate almeno le reliquie”, aveva supplicato un religioso che s’era visto sfrattato da Mar Behnam, il 20 luglio scorso, dagli sgherri del califfo. Statue di Madonne distrutte, altari su cui venivano dispiegati i drappi del credo di al Baghdadi, croci abbattute e chiese bruciate, drappi neri issati sui campanili.

 

Eppure, anche nell’Europa civile priva di califfi e di eserciti islamici operativi e ben armati, il copione non è troppo diverso. Non ci sono le scimitarre, ma le profanazioni sono all’ordine del giorno, e il più delle volte vengono taciute, fatte passare come generici atti di vandalismo perpetrati da giovani infelici, adolescenti annoiati, cultori di qualche serie tv che ammicca al mondo esoterico. “Il mese di Avvento ha visto una quantità inquietante di attacchi e profanazione di icone ed edifici cristiani in Francia; da un incendio di un presepe in Savoia a statue decapitate a Frejus, fino alle chiese attaccate nella Mayenne e a Soissons. Ma piuttosto che difendere la libertà religiosa del suo popolo perseguitato, il governo francese sta spingendo per un’ulteriore riduzione dell’espressione religiosa”, osservava un anno e mezzo fa Ben Harnwell, dell’Istituto Dignitatis Humanae. A Vienna, quattro chiese – tra cui la cattedrale di Santo Stefano – sono state profanate in un solo pomeriggio, lo scorso aprile, da un trentasettenne ghanese, Ibrahim, che avrebbe deciso di devastare statue e altari dopo aver ascoltato sul suo iPod musica religiosa. Mai vista una cosa simile, disse poco dopo il cardinale Christoph Schönborn: “E’ il peggiore atto di vandalismo da quando sono arcivescovo”. Le cose non vanno meglio in Germania: di gente in chiesa, anche lì, se ne vede sempre meno, così le acquasantiere possono diventare comodi aggeggi dove spegnere le sigarette (è accaduto a Breckerfeld) o i bui ingressi secondari alle cappelle e piccole navate usati come luogo per espletare i bisogni fisiologici (così è andata nella chiesa dei Santi Giorgio e Caterina a Traunstein).

 

A volte, però, i novelli barbari preferiscono lo show, la sceneggiata pubblica che attira click, seguaci, follower e – perché no – qualche ululato d’approvazione. Ne sa qualcosa il cardinale Joachim Meisner, da qualche mese arcivescovo emerito di Colonia, che lo scorso Natale, durante la messa solenne, s’è visto saltare sul palco una attivista di Femen, la francese Josephine Witt, nuda con la scritta “io sono Dio” ben dipinta sul petto. E mentre Meisner proseguiva nel rito, le urla della signorina portata via a forza dalla sicurezza facevano da contraltare al coro che accompagnava la liturgia. Più o meno la stessa sorte era toccata al cardinale madrileno Antonio María Rouco Varela e all’arcivescovo di Bruxelles, il mite André-Joseph Léonard, che dalle colleghe della Witt s’era beccato una torta in faccia, reagendo come solo un uomo di chiesa di quel calibro può fare: chiudendo gli occhi e immergendosi nella preghiera più profonda. E poi Bologna, con le femministe che invasero la basilica di San Petronio per una dimostrazione abortista a cavallo dello scorso Natale: “Voi occupate i consultori, noi invadiamo le chiese”, annunciarono armate di variopinti striscioni e, per chiarire meglio il concetto, s’esibirono nel coretto “fuori la chiesa dalle nostre ovaie”. Per trovare i martiri, diceva Papa Francesco in una delle sue consuete omelie mattutine pronunciate all’alba a Santa Marta, “non è necessario andare alle catacombe o al Colosseo: i martiri sono vivi adesso, in tanti paesi. I cristiani sono perseguitati per la fede. In alcuni paesi non possono portare la croce: sono puniti se lo fanno. Oggi, nel secolo Ventunesimo, la nostra chiesa è una chiesa dei martiri”.

 

Un secolo, questo, dove nelle scuole elementari di Vienna i crocifissi vengono rimossi dalle pareti dopo che una mamma aveva definito quel simbolo l’emblema di un “paternalismo religioso” da archiviare per sempre, quasi fosse una reliquia dell’impero asburgico. Nessuna polemica, in questo caso: la signora ha agito legalmente. Dopotutto, se meno della metà degli scolari sono registrati come cristiani, ora in Austria si possono eliminare croci, presepi, madonne e santi vari. L’ultimo a farlo, mette nero su bianco il Rapporto, era stato il nazionalsocialismo. D’altronde, il ministro per gli Affari delle donne, la signora Gabriele Heinisch-Hosek, ha chiarito che “il contributo della chiesa cattolica non solo è inaccettabile”, ma che di esso si può fare tranquillamente a meno. E’ di Dio, invece, che si può fare tranquillamente a meno secondo quanto pensano in Svizzera. Troppi riferimenti all’Altissimo nell’inno nazionale, che quindi va riscritto. Quasi undicimila franchi a chi saprà convincere la giuria incaricata di valutare tra le proposte che possano sostituire il “Salmo” – è questo il titolo –, il poema patriottico composto nel 1841 dallo zurighese Leonhard Widmer e musicato dal prete cattolico Alberik Zwyssig, considerato obsoleto e poco adatto alla nuova e multiculturale Svizzera del Ventunesimo secolo.

 

Diceva Benedetto XVI, concludendo il suo discorso al mondo della cultura francese riunito al Collegio dei Bernardini, che una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.