Mario Draghi (foto Ap)

Banchieri centrali in chief

Europa ingessata, di nuovo in ginocchio da Draghi (che però spera nella Fed)

Ugo Bertone

Governi Ue tra stagnazione certa e quadra politica lontana. La pragmatica Yellen sul lavoro, gli effetti per l’export. “Riformare, ma subito”

Milano. “La disoccupazione strutturale era già alta nell’area euro prima della crisi e le riforme strutturali nazionali per affrontare questo problema non possono più essere ritardate’’. Mario Draghi sceglie la platea di Jackson Hole (mentre questo giornale va in stampa il presidente della Bce sta ancora parlando), il meeting dei banchieri centrali dell’economia globale, per lanciare il suo affondo ai paesi di Eurolandia, Italia e Francia in testa, che tardano (o evitano) le necessarie riforme strutturali, in particolare sul mercato del lavoro, il tema scelto da Janet Yellen, il capo della Fed, per l’incontro di quest’anno.

 

Anche per Mario Draghi, al pari di Janet Yellen, quella di ieri è stata la prima volta a Jackson Hole nelle vesti di governatore della banca centrale. Sia nel 2012, l’anno della sfida a “fare tutto quanto è necessario per salvare l’euro”, che nel 2013, nelquando si era nell’attesa della sentenza della Corte federale tedesca sugli Omt, il banchiere romano aveva declinato l’invito per i “troppi impegni”. In realtà, anche stavolta, la ripresa di settembre non si presenta affatto più facile. Anzi. Ma un po’ di solidarietà tra banche centrali non guasta, vista la congiuntura. L’autunno caldo della politica europea, non solo italiana, non promette nulla di buono: la cocciutaggine tedesca nell’esigere austerità, contrapposta alle difficoltà di Francia e Italia a far marciare le riforme strutturali, rischia di produrre, al di là dei proclami ufficiali, risultati desolanti nei prossimi vertici dell’Unione. Non per questo Draghi sarà meno battagliero. “Sul lato della domanda – dice – la politica monetaria può giocare un ruolo centrale, che al momento significa una politica accomodante per un periodo prolungato”. Ma le politiche monetarie e di bilancio accomodanti “non possono sostituire le necessarie riforme strutturali’’.

 

Cionondimeno la Bce potrebbe usare “anche strumenti non convenzionali per salvaguardare le aspettative di inflazione nel medio-lungo termine’’, anche con le nuove misure non convenzionali. L’Europa potrà quindi contare (soltanto) sulle armi, pur potenti, della Bce: da ottobre i prestiti Tltro che dovrebbero arrivare, banche permettendo, alle imprese; l’allargamento del mercato degli Abs, i derivati spariti dall’Eurozona dopo la crisi del 2008; soprattutto il Quantitative Easing europeo, che dovrebbe riguardare i titoli societari garantiti da debiti delle pubbliche amministrazioni o da creditori solidi. Basterà? Difficile essere ottimisti perché “i dati più recenti sul Pil confermano che la ripresa nell’area euro resta debole in modo uniforme’’ e “l’incertezza sulla ripresa sta pesando sugli investimenti e sulla velocità a cui i lavoratori vengono assunti’’.

 

L’aiuto più efficace
L’aiuto più efficace, anche se Draghi non lo dice, lo può fornire proprio il padrone di casa, la Federal Reserve degli Stati Uniti, purché arrivi l’aumento dei tassi Usa e, di riflesso, del dollaro, Una prospettiva che, dopo le parole pronunciate ieri a Jackson Hole da Janet Yellen, sembra più vicino. “Se la ripresa dell’occupazione continuerà a essere più rapida del previsto e se l’inflazione si muoverà più rapidamente delle attese verso il 2 per cento – ha detto ieri il presidente della Fed – anche i tassi risalirano prima delle aspettative”. Un’apertura non da poco ai “falchi” della banca centrale che premono per accelerare la grande svolta, dopo sei anni di denaro poco sopra lo zero. Ma più una sensazione che un’indicazione politica, perché il presidente della Fed, al suo esordio al meeting dei banchieri, ha scelto di presentare una relazione molto tecnica: 16 pagine condite da 21 tabelle e zeppe di equazioni per illustrare come le dinamiche del mercato del lavoro dopo la grande crisi siano ormai molto più complesse ed imprevedibili di un tempo. Il“Non esiste una ricetta semplice. Perciò occorre aver l’umiltà di adottare un atteggiamento pragmatico”. Insomma, si naviga a vista senza offrire una bussola a Wall Street che, non a caso, non ha in pratica reagito al messaggio della “colomba” della Fed che si avvia, riluttante, a muovere i tassi. Ma una soluzione “pragmatica” può esser la migliore per Draghi: la Fed , che per tradizione non ama un dollaro forte, potrebbe questa volta dare una mano al banchiere, consentendogli di guadagnar tempo. E come ha detto ieri il direttore generale della Bri Jaime Caruana “una banca centrale non può fare altro che guadagnar tempo”. Le riforme le devono fre altri.

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