Il leader nordcoreano Kim Jong-un

Il paffuto tiranno di Pyongyang vuole vincere la Coppa del mondo di calcio

Giulia Pompili

Roma. Il basket, il wrestling. Ma soprattutto il calcio. La popolarità di un leader, in Corea del nord, passa anche dallo sport, come da tradizione squisitamente sovietica. E il giovane leader nordcoreano Kim Jong-un lo sa bene. 

Roma. Il basket, il wrestling. Ma soprattutto il calcio. La popolarità di un leader, in Corea del nord, passa anche dallo sport, come da tradizione squisitamente sovietica. E il giovane leader nordcoreano Kim Jong-un lo sa bene. Solo che adesso è venuto il momento di fare sul serio. Nel 1966 la Nazionale di calcio nordcoreana batté l’Italia uno a zero in quella che divenne la famosa notte dei pomodori (i pomodori erano quelli che tirarono alla Nazionale azzurra, buttata fuori da una squadra esotica di non professionisti). Al Mondiale in Inghilterra la Nazionale di Pyongyang arrivò ai quarti di finale, e dopo quella vittoria sugli azzurri il calciatore che realizzò il gol, Pak Doo Ik – di professione dentista dell’esercito – diventò un eroe nazionale, così come tutto il resto della delegazione. Poi, man mano, i fasti del formidabile Mondiale del ’66 sbiadirono. 

 

Alla Coppa del mondo successiva, nel 1970, la Corea del nord fu squalificata per essersi rifiutata di giocare contro Israele. Non partecipò a tutti i tornei internazionali successivi, a volte per non essersi qualificata, a volte per non essersi presentata. Nel 2010 si qualificò ai Mondiali del Sudafrica, uscendo al primo turno e infilando solo un gol durante la partita contro il Brasile – il Portogallo, poi, gliene fece sette. Eppure gli ultimi Mondiali brasiliani sono stati molto seguiti anche in Corea del nord, nonostante non fosse rappresentata da una Nazionale. Alcune partite sono state trasmesse in differita ed è stata mantenuta alta l’attenzione dei media statali sulla manifestazione. Memorabile un editoriale dell’agenzia di stampa ufficiale nordcoreana, la Kcna, che spiegava perché in fondo anche quella spagnola era una Nazionale di calcio praticamente finita. “Il tiki-taka è in bancarotta”, diceva alla Kcna il coach Pak Chol Nam, insegnante della più famosa scuola di calcio nordcoreana, e spiegava che i suoi allievi imparano “la scienza della tattica in campo” guardando le partite in televisione, come fanno tutti i calciatori del mondo. Proprio in occasione degli ultimi Mondiali, ai turisti stranieri è stato concesso l’accesso alla Pyongyang International Football School, accademia di calcio fondata e inaugurata da Kim Jong-un nel 2013. Una grande operazione politica del leader, che ha deciso di ricominciare a programmare scientificamente il successo calcistico della sua Nazionale. Circa duecento ragazzi tra i dieci e i quattordici anni vivono nell’accademia che funziona proprio come un campus: qui si allenano, studiano la teoria, dormono, mangiano. I più grandi di loro, al prossimo Mondiale di calcio in Russia, avranno compiuto i diciotto anni, e la nazionale avrà almeno una possibilità di qualificarsi. Il direttore della scuola lo scorso giugno ha riferito a Simon Cockerell di Koryo Tours (un’agenzia di viaggi che opera in Corea del nord) che alcuni dei suoi studenti erano stati mandati ad allenarsi in Spagna e in Italia. Una notizia confermata tempo fa da Kyodo news: 16 mila euro all’anno per ognuno dei giovani calciatori, una specie di “erasmus” quinquennale, venti ragazzi con la Italian soccer management di Perugia, società specializzata nello scouting, e dieci alla Fondazione Marcet di Barcellona. 

 

Ma non c’è solo il calcio. Avendo studiato in Svizzera, vicino a Berna, Kim Jong-un ha portato recentemente in Corea del nord le piste da sci, promuovendo il turismo di montagna e facendo costruire in un solo anno il Masikryong Ski Resort, a 1.300 metri sul monte Masik, nella provincia di Kanwong, vicino al confine con la Cina. E poi, si sa, la diplomazia si fa pure con lo sport. In Corea del nord, l’ultimo ad averci provato è stato l’americano Dennis Rodman, campione tatuato dell’Nba che assiste alle partite di pallacanestro seduto accanto al giovane leader e dispensa consigli al basket nordcoreano. Rodman, però, si è poi scoperto un po’ troppo ubriaco per riuscire a portare a casa un dialogo con il regime di Pyongyang. Successivamente è stato arruolato il settantunenne Antonio Inoki, nome d’arte di Kanji Inoki, lottatore giapponese molto famoso in patria e in tutta l’Asia, celebre per aver sfidato sul ring Muhammad Ali e per essere stato il primo wrestler professionista a essere eletto nella Dieta, con una lunga esperienza di mediazione internazionale. Ieri Inoki ha presentato alla stampa giapponese l’evento di wrestling da lui organizzato che avrà luogo la prossima settimana a Pyongyang e al quale parteciperanno ventuno wrestler provenienti da Giappone, America, Francia e Brasile: “In una situazione chiusa e senza alcuna interazione, sport e pace sono gli unici temi a cui nessuno può opporsi”, ha detto Inoki. E l’evento di lotta nipponordcoreano ha un sapore particolarmente diplomatico visti i passi avanti fatti recentemente dal premier giapponese Shinzo Abe sulla questione dei cittadini giapponesi rapiti negli anni Settanta da Pyongyang. Chissà se sarà un vecchio wrestler giapponese a riportarli a casa.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.