La maglietta di protesta di un esodato (Foto Lapresse)

La mitologia del “diritto acquisito”

Redazione

Quel che sulle pensioni si può fare, non in nome degli “esodati”

L’espressione “diritti acquisiti” ha una doppia accezione: una “socialista” e l’altra “contrattualista”. La prima vede ogni riforma dello stato sociale come un attentato alle conquiste operaie dello scorso secolo. La seconda difende il legittimo affidamento dei lavoratori a godere di prestazioni pubbliche sulla base di condizioni vigenti al momento in cui costoro hanno implicitamente stipulato il proprio patto con lo stato. Entrambe le visioni sottovalutano però un elemento: quando un “diritto acquisito” si regge solo a spese di un terzo, escluso dalle garanzie sociali, tale diritto perde qualsiasi valenza socialista o contrattualista. Diventa un mero privilegio “estrattivo”, per dirla con gli economisti Daron Acemoglu e James Robinson autori del saggio “Perché le nazioni falliscono”.

 

In materia pensionistica, non è giusto percepire un assegno previdenziale sproporzionato rispetto al monte-contributi versato negli anni di lavoro. Se io ho versato 20 e raccolgo 30, qualcuno sta pagando 10 per me: più tasse su chi lavora e meno risorse per il welfare-to-work (sussidi di disoccupazione, formazione professionale, asili nido, eccetera). Non a caso, l’Italia dedica alle pensioni il 61,3 per cento della spesa sociale complessiva contro il 45,7 per cento della media Ue (dati Eurostat), ma investe poco per la disoccupazione e la conciliazione famiglia-lavoro (2,9 e 4,8 per cento contro 5,6 e 8 per cento della media europea).

 

Nel 1995 la riforma Dini riconobbe il diritto al calcolo interamente retributivo della futura pensione a chi aveva già maturato 18 anni di contributi e il calcolo misto per chi ne aveva meno. Con la riforma Fornero, il privilegio per i più “anziani” è terminato il 31 dicembre 2011, ma molti erano già a riposo e altri si sono visti tagliare pochi spiccioli (cioè il ricalcolo con il contributivo degli ultimissimi anni di lavoro, dal 2012 in poi). Senza togliere a nessuno ciò che ha versato, si potrebbe applicare a tutti – pensionati e lavoratori ancora in servizio – un ricalcolo con il contributivo degli ultimi 3 o 4 anni di lavoro finora considerati con il retributivo: si ridurrebbe l’iniquità tra ipertutelati e ipersfigati. Attenzione però, non va eliminato un privilegio per attribuirne un altro: i risparmi andrebbero destinati ai nuovi bisogni concreti – la disoccupazione, la formazione, la famiglia – e non a quel calderone pieno di aria fritta chiamato “esodati”.

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