Papa Francesco (Foto Ap)

Francesco, le buone cose di ottimo gusto che pensa e il freno del gesuita

Giuliano Ferrara

Chi sono io per bombardare? Il Papa fa il suo mestiere, assolve alla funzione che si è scelta e che crede buona per la sua chiesa e per il vasto mondo. Ha infine detto quel che doveva dire sulle persecuzioni dei cristiani.

Chi sono io per bombardare? Il Papa fa il suo mestiere, assolve alla funzione che si è scelta e che crede buona per la sua chiesa e per il vasto mondo. Ha infine detto quel che doveva dire sulle persecuzioni dei cristiani, e ha ripetuto con parole sue la posizione di Giovanni Paolo II sul diritto o il dovere di ingerenza a sostegno dell’aggredito, e di tanto in tanto si riaffaccia la sua convinzione non strettamente o solo dottrinale che ai bambini nel mondo si faccia del male, molto male, anche prima che nascano e siano poi vittime di guerra. Non gli sfugge la guerra intima, desiderante e libertaria, condotta dai maschi e dalle femmine che vogliono essere liberi a qualunque costo dalle conseguenze dell’amore. Ma le buone cose di ottimo gusto che il Papa pensa e dice sono come frenate, si nota sempre un elemento di imbarazzo, autentico, non spocchioso, legato alla impostazione pastorale, teologica e politica del pontificato gesuita, il pontificato del rilancio profetico della misericordia e dell’infinito perdono divino.

 

Chi siamo noi per giudicarlo? Non bastano vecchie buone intenzioni, e certe uscite tempestive, da mosche cocchiere o da battistrada, certe battaglie di libertà o certe foglianti veglie a sostegno di ebrei o di cristiani o di chiunque altro sia oggetto di pregiudizio e di inimicizia banditesca. Ci onoriamo di avere tra i nostri collaboratori più illustri strenui difensori della comunità musulmana di Sarajevo per anni assediata e torturata dai mozzorecchi di Karadzic e Mladic. Il mondo secolarista applaude il Papa (gli piace troppo, decisamente troppo) per la sua cattolicissima misericordia, per il passaggio del peccato in seconda linea teologica, per quella sua modernità postconciliare che si vede all’opera anche in quel ritardo e in quella enfasi a bassa intensità sul significato della persecuzione dei cristiani da parte di orde fanatizzate del jihadismo islamista. L’accento vaticano è posto sul destino crudele delle minoranze tutte, tra le quali quelle cristiane, e niente è trascurato allo scopo di non rinfocolare, fino a troncarla o a sopirla, la relazione storica particolare, violenta e annientatrice, che l’islam politico integrista e fondamentalista ha stabilito con gli apostati e in particolare i cristiani o infedeli, con radici forti in tutta l’avventura grande dei maomettani, fin dal principio. Il Papa non recita nel teatro epico dei pupi come Goffredo, Tancredi o Rinaldo, il suo orizzonte non è la riconquista di Gerusalemme o la difesa di Roma e dell’occidente cristiano, si affida all’Onu e all’umanitarismo del secolo.

 

La domanda che ci facciamo e che rivolgiamo al suo mondo cattolico riguarda non la liceità ma il prezzo di questi comportamenti e di queste tendenze. Se si lascia governare da esperti etici in materia di famiglia e di amore e di educazione dei figli (lasciamo stare la sessualità, zona giustamente liberata ma bizzarramente in via di giuridicizzazione matrimoniale); se si lascia vivere di fronte al potere creativo della tecnoscienza in materia di ingegneria biologica, e decide di non cogliere con enfasi idonea il momento dell’eugenetica o della dissoluzione dei vincoli sociali familiari, in favore di una bella e misericordiosa ma impraticabile teologia in ginocchio (quella del cardinale Walter Kasper), noi in qualche senso lo comprendiamo. La cultura dei gesuiti ha in ogni secolo moderno, fin dal Cinquecento originario, concesso alla chiesa di porre la mistica e la pastoralità missionaria del dialogo tra le culture al centro dell’evangelizzazione, con risultati in certi casi spettacolari per intelligenza e sapienza. Epperò c’è un costo per tanta disponibilità, per tanta gioia evangelica, per tanta popolarità, per tanta immedesimazione. Fissarne il limite, riflettere sulla circostanza e sul rischio classico del lassismo etico, sarebbe forse una buona cosa. Per non essere sorpresi da lodi imbarazzanti di coloro che, dentro e fuori la chiesa, amano troppo l’amore cristiano e vi si involtolano e confondono anche quando l’amore mette in ballo la giustizia.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.