Barbara Spinelli (Foto Lapresse)

Assenza di Barbara S.

Stefano Di Michele

Partì per bastonare i gaglioffi in grisaglia. L’han vista votare tre volte su 39. Ma l’Europa ancora c’è.

Fu quando Barbara S. partì per redimere l’Europa, che tutti ci sentimmo – votanti e spregiatori, quelli che su un suo saggio si avventano come quelli che “vade retro!” – insieme fortificati e felici (per non dire dell’autentico giubilo a Largo Fochetti, dove il direttore Ezio M.  insieme a Barbara S. vedeva involarsi pure Curzio M. – però non Malaparte). Un senso di sollievo, come dire?, continentale; almeno un cero e una prece in lode ai meriti dell’ellenico Tsipras. “L’altra Europa” era il nome e il progetto – e che nome, a dir poco, quello di Barbara S.! Una capace di ridurre, si diceva e si sperava, con un’occhiata e una paginata, dall’Atlantico agli Urali, la stessa e intera “signora Europa” (istituzione che ogni medio elettore percepisce per metà con  occhialini dell’acida signorina Rottermaier e per l’altra metà con guêpière peccaminosa di praticona di burlesque) come il partitino del povero Nichi di Puglia, di ricondurla a decente convenienza. Il suo ingresso all’Europarlamento – da pensosi intellettuali, da speranzosi militanti – fu quasi percepito quale edificazione di una linea Maginot che manco le armate crucche della Merkel avrebbero potuto sfondare, come se fosse lo sbarco a Strasburgo non meno risolutivo di quello in Normandia. Pareva la discesa in campo del Bologna degli anni d’oro, “lo squadrone che tremare il mondo fa”. Barbara S. ci pensò e si candidò. Ci pensò e disse che, se eletta, il seggio non avrebbe accettato. Ci pensò e disse che, adesso eletta, il seggio avrebbe accettato. Pareva Enrico De Nicola incerto sulla soglia del Quirinale – “decida di decidere se accetta di accettare”. Accettò. Ognuno in patria, se almeno provvisto di lodevoli e sani sentimenti europeisti e federalisti, tirò un bel respiro di sollievo (Ezio M.  due). Adesso li sistema Barbara S. a quelli lì – gaglioffi in grisaglia, liberisti assatanati, rigoristi spietati, socialdemocratici cagasotto, perdigiorno scioperati. Chi, almeno decentemente avvertito, non poteva davvero sottrarsi alla sensazione che le note del beethoveniano “Inno alla gioia” risuonassero più alte e chiare; altri, più sentimentali, fecero ricorso piuttosto a Renato dei Profeti e alla sua memorabile “Lady Barbara” – accompagnando così il trasvolo oltre le cime alpine: “Lady Barbara tu sei / l’acqua chiara che / disseta più che mai…”.

 

Infinite speranze si riposero nell’azione sua dentro quell’aula di giostrai berlusconiani e mangiafuochi renziani – da noi tutti così dottamente e generosamente abbeverati ai suoi scritti dove, in singolo articolo, come sul tram all’ora di punta, trovavano posto Willy Brandt e Zygmunt Bauman, Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà, il patriottismo costituzionale del “filosofo liberale” Dolf Sternberger, s’intende “prima che Habermas resuscitasse il concetto”, ma pure Claudio Tito e Liana Milella. Si attendeva con fervore l’ora per principiare “l’altra Europa” – facendo bastevolmente schifo, si capisce, quella che c’è. Si avevano finora poche notizie, ma l’azione efficace, si sa, mai è disgiunta dal pensiero profondo e lungo (e lento, va da sé) – adesso vedrete. Poi, su Libero, si legge una classifica (Istituto VoteWatch Europe) secondo la quale su 39 votazioni Barbara S. ha partecipato solo a 3 (7,7 per cento). Altri  (dal Pd a Fi all’Ncd) hanno fatto peggio, chissà cosa avranno mai di meglio da fare – ma per favore neanche a paragonarli con la più autorevole degli autorevoli eletti tsipratisti. Orsù: ma siamo all’altra o è sempre la stessa? (Pure Curzio M. ha solo il 12,82 per cento di presenze; che sarebbe poi lo share ideale per il collega Massimo G. ora che va in tivù. E così i sospiri di sollievo di Ezio M. diventano tre).

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