Un peshmerga curdo pronto al combattimento davanti alla diga di Mosul (Foto Ap)

Operazioni militari in Iraq

La battaglia per la diga di Mosul dà il via all'escalation di Obama

Daniele Raineri

Il pretesto della difesa di Erbil e Baghdad cade, gli aerei americani appoggiano l’avanzata dei curdi.

Roma. Negli ultimi dieci giorni gli aerei americani hanno colpito sessantotto bersagli dello Stato islamico nel nord dell’Iraq, dice il Comando centrale – l’abbreviazione è Centcom ed è la divisione del Pentagono che si occupa del settore di mondo compreso tra l’Egitto e l’Afghanistan. Trentacinque attacchi aerei si sono concentrati negli ultimi tre giorni, e tutti attorno alla diga strategica di Mosul. Da quando il primo ministro iracheno uscente, Nuri al Maliki, ha ceduto alle pressioni iraniane e americane e ha rinunciato al terzo mandato, la campagna aerea a bassa intensità per proteggere il personale americano a Erbil  dall’avanzata del Califfato sta cambiando volto e si sta trasformando in un impegno militare forte che assomiglia a un’offensiva. Domenica il presidente americano Barack Obama ha dichiarato con una lettera al Congresso americano che anche questi ultimi bombardamenti rientrano nella categoria meramente difensiva già dichiarata, in questo caso per proteggere la vita degli americani che lavorano nell’ambasciata di Baghdad da un’eventuale, disastrosa onda di piena provocata dallo Stato islamico. Pare un pretesto. Il generale americano in congedo James Marks dice alla Cnn che gli uomini dello Stato islamico non apriranno le chiuse della diga con l’intento di provocare una catastrofe perché la prima città a essere investita dalla piena, cinquanta chilometri più sotto, è Mosul, con 1,7 milioni di abitanti, che è controllata da loro. Baghdad è quattrocento chilometri più a sud. Inoltre “penso che lo Stato islamico voglia mantenere il controllo della diga integra – dice il generale – perché genera energia elettrica e potrebbe usare questa produzione come arma di ricatto contro la popolazione sotto il suo controllo”.

 

I bombardamenti dall’aria e la presenza di consiglieri militari delle forze speciali – i Berretti Verdi – sono il segno che la missione americana a fianco delle milizie curde e dell’esercito iracheno cambia: ora si tratta di collaborare a respingere l’avanzata dei soldati del Califfato. Il governo inglese ha annunciato l’invio di caccia e di elicotteri per appoggiare la campagna cominciata da Obama.

 

Secondo il Telegraph, le truppe speciali inglesi del Sas (Special Air Service) sono già “on the ground”, sul campo, nell’Iraq del nord da sei settimane, quindi da prima della crisi umanitaria per salvare la minoranza yazida che ha dato il via alle operazioni militari inglesi nel nord dell’Iraq (finora si è trattato soltanto di trasporti umanitari con grandi cargo). Può essere che Washington e Londra avessero già assunto una postura interventista di riserva – data l’avanzata rapida dello Stato islamico dopo la conquista di Mosul a giugno –  e osservassero lo svolgersi degli eventi.

 

Giovedì scorso il governatore della regione irachena di al Anbar, Ahmed Khalaf al Dulaimi, ha detto in un’intervista con Reuters di essersi incontrato con militari e diplomatici americani che gli hanno promesso un intervento militare non soltanto con bombardamenti come a nord ma anche “con truppe a terra”. Boots on the ground, di nuovo ad Anbar: il governatorato maledetto, che durante gli anni della guerra costò agli americani il maggior numero di perdite. La promessa americana svelata dal governatore sembra davvero improbabile, ma circola in ogni caso l’idea che questo intervento sia “a slippery slope”, un piano inclinato verso una possibile escalation. Al terzo giorno di combattimenti, non è ancora chiaro se il controllo della diga giantesca è passato dagli uomini del Califfo Al Baghdadi alle milizie curde e alle forze speciali irachene, trasportate in aereo fino al teatro dell’offensiva. Il governo iracheno giura di sì, ma è inaffidabile. I curdi sul posto dicono che l’avanzata è rallentata dalle trappole esplosive che i guerriglieri hanno lasciato sulle strade e dentro gli edifici.

 

In Siria, il governo del presidente Bashar el Assad ha ordinato bombardamenti come mai prima d’ora contro Raqqa, capitale dello Stato islamico, e contro Deir Ezzor, un’altra zona controllata da Al Baghdadi. E’ la prima volta che succede, di solito l’aviazione colpiva altre zone, come Aleppo. Non sfugge la coincidenza temporale con i bombardamenti americani: Assad sta oggettivamente collaborando con gli americani, colpendo lo stesso nemico nello stesso tempo. Si sta proponendo a un occidente riluttante come partner di fatto nella lotta contro il Califfato. Tra due giorni cade l’anniversario del massacro chimico di Damasco.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)