La copertina di Wired con Edward Snowden

La nuova copertina (patriottica) e le vecchie bugie di Ed Snowden

John R. Schindler

L’ex contractor Nsa ha concesso a Wired un’intervista mistificatoria. I “gestori” russi e le versioni discordanti.

Wired ha pubblicato questa settimana una nuova intervista con Edward Snowden fatta a Mosca in più giorni, che vorrebbe essere la più importante discussione giornalistica con il contractor informatico più famoso del mondo da quando è volato in Russia nel giugno dello scorso anno. Non commenterò la foto di copertina, con Ed avvolto nella bandiera a stelle e strisce come fosse un super patriota americano, un prodotto raro nella Russia di Putin. L’intervista è stata fatta da James Bamford, che è tutto tranne che un osservatore imparziale dell’intelligence americana. Bamford ammette di provare affinità con l’intervistato, e ne dà dimostrazione. L’articolo è pieno di così tante domande servili e argomenti sottaciuti da rendere le precedenti interviste con Ed, che già mi erano sembrate piuttosto morbide, simili a un interrogatorio dell’Nkvd di Stalin.
Sarebbe necessaria un’analisi riga per riga dei numerosi errori dell’intervista, delle bugie e delle mistificazioni, ma non ho il tempo o l’inclinazione per farlo. La maggior parte delle opinioni su Snowden si sono ormai formate mesi fa, e molte persone non sembrano interessate alle evidenti falle e ai problemi della Narrativa Ufficiale di Ed. Detto questo, ci sono alcuni punti che devono essere chiariti. Anzitutto, fin da principio Bamford dice che l’intervistato non è connivente coi russi, benché abbia appena ricevuto un permesso di residenza di tre anni per rimanere a Mosca: “Quando Snowden è volato in Russia dopo aver rubato il più grande archivio di segreti della storia americana, alcuni a Washington lo hanno accusato di essere l’ultimo anello di una catena di agenti segreti russi. Ma per quanto ho potuto vedere, questa accusa non poggia su alcuna prova valida”. Questo conduce alla domanda: quanto ha davvero potuto vedere Bamford? Quanto è informato il nostro intervistatore sui metodi dell’Fsb, la principale agenzia di sicurezza russa? Siccome Bamford prende posizione preventivamente, all’inizio dell’intervista, viene da chiedersi quale potrebbe essere la “prova valida” della collaborazione di Ed con i servizi di sicurezza russi. Un comunicato stampa dell’Fsb? Come ho già detto in precedenza, il fatto che Ed cooperasse con i russi già prima di raggiungere Mosca può essere discusso, ma il suo status attuale nei confronti dell’Fsb adesso non è materia di dibattito, come sa bene chiunque conosca l’intelligence russa. Bamford crede che Snowden sia il primo disertore in Russia dell’intelligence occidentale a non aver mai cooperato con i servizi segreti del Cremlino, ma è facile notare che questa posizione è ridicola.

 

Senza ironia, pochi paragrafi dopo, Bamford ci dice che: “Le persone che gestiscono Snowden mi hanno avvertito più volte che anche se spento un telefono cellulare può facilmente essere trasformato in un microfono per la Nsa”. Chi sono esattamente questi “gestori”? Bamford non ce lo dice. Anatoly Kucherena, l’avvocato russo di Ed, uomo con ampie connessioni con l’Fsb, ha detto di recente ai media che il suo cliente non gode della protezione ufficiale del Cremlino. La sua scorta è gestita da non meglio definiti esperti privati di sicurezza. Kucherena non dice pagati da chi. A questo proposito, Bamford nota che Ed, nonostante l’assenza di fondi, se la passa bene nella sua nuova casa, che è sempre un passo avanti rispetto al suo paese nativo: “Ha imparato a vivere con modestia in una città costosa che è più pulita di New York e più sofisticata di Washington”. Siccome Ed chiaramente non può pagare il conto per la scorta che lo protegge ventiquattr’ore al giorno – l’intervista dimostra come Snowden viva nel terrore costante di essere rapito dall’intelligence americana, anche nella sua casa segreta di Mosca – chi paga? Anche questo, come molte altre cose, Bamford non lo chiede né cerca di spiegarselo.

 

Nell’intervista c’è un’altra questione importante che deve essere trattata. Verso la fine, Bamford racconta in maniera drammatica il momento in cui Snowden decise di passare il Rubicone, mentre si trovava dentro a una struttura segreta della Nsa scavata in profondità sotto a una piantagione di ananas alle Hawaii: “Il 13 marzo 2013, seduto alla sua scrivania nel ‘tunnel’ e circondato da schermi di computer, Snowden lesse un articolo che lo convinse che era arrivato il momento di agire. Era un resoconto del direttore dell’Intelligence nazionale James Clapper che diceva a una commissione del Senato che la Nsa non raccoglie ‘di proposito’ informazioni su milioni di americani. ‘Penso di averlo letto sul giornale il giorno dopo, mentre parlavo coi colleghi, e di aver detto: si può credere a questa merda?’. Snowden e i suoi colleghi avevano già parlato dell’inganno sull’ampiezza dello spionaggio della Nsa più volte, e non fu sorprendente per lui vedere che la testimonianza di Clapper non suscitava grandi reazioni. ‘Era più che altro rassegnazione’, dice, definendola ‘la banalità del male’ – una citazione del saggio di Hannah Arendt sui burocrati nella Germania nazista”.

 

Non sfiorerò nemmeno il cliché dell’America di Obama come la Germania nazista, che è esattamente il tipo di stupidaggine che ti aspetteresti da un mezzo istruito altezzoso autodidatta come Snowden. Piuttosto, Ed ora dice che fu la testimonianza di Clapper del 13 marzo 2013 (“era arrivato il momento di agire”) che lo convinse a disertare e a scappare dalle Hawaii due mesi dopo con tutti quei documenti classificati, dopo averli rilasciati ai media.

 

Aspettate un momento. In primo luogo, è impossibile immaginare che perfino l’autoproclamato maestro hacker Edward Snowden sia riuscito a rubare un milione e mezzo di documenti classificati dai server della Nsa in poche settimane (benché Ed smentisca che il numero sia tanto grande, non nega che è comunque una quantità considerevole). Soprattutto, Glenn Greenwald, il partner di Ed nell’operazione, ha ammesso di recente che era in contatto con Snowden da molto prima del presunto risveglio di Ed e della sua decisione di disertare. Con le parole di Glenn: “La prima volta che [Ed] ha cercato di contattarmi (…) fu nel dicembre 2012, quando mi inviò un’email anonima”. Davvero dovremmo credere che Ed avesse iniziato a rubare migliaia di documenti classificati, che avesse contattato Glenn Greenwald, uno dei commentatori più ferocemente anti americani in circolazione – giusto per precauzione – ma che siano state le dichiarazioni di Clapper qualche mese dopo a convincere Ed a fare davvero qualcosa?

 

Ormai i membri dell’operazione Snowden non riescono nemmeno più a concordare le versioni delle loro storie. Ma sono aiutati da certi giornalisti che si rifiutano di fare anche le domande più ovvie, come in questo caso. L’intervista di Bamford è interessante se volete notizie confortanti su Snowden e su quello che ha fatto, ma non è affidabile come tentativo di registrare quello che è avvenuto per davvero. E’ un problema comune a tutta la propaganda.

 

*Professore di Sicurezza nazionale all’U.S. Naval War College, senior fellow dell’International History Institute.

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