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Idee (tutte autofinanziate) per un piano Marshall per l'Italia

Gustavo Piga

Il nostro paese sembra stretto in una morsa mortale tra parametri europei, riforme strutturali e stagflazione. Cosa fare allora?

L’Italia sembra stretta in una morsa mortale tra parametri europei, riforme strutturali e stagflazione. Cosa fare allora? E’ ancora possibile rispettare i criteri di spesa e di deficit imposti dall’Unione europea e rilanciare l’economia? In attesa che si definiscano nuovi parametri di flessibilità, magari legati agli investimenti pubblici, proponiamo una mossa in linea con la politica monetaria della Banca centrale europea per stimolare la ripresa degli investimenti privati, quelli che Mario Draghi correttamente identifica come mancanti all’appello in Italia.

 

Esattamente come quando il governo è intervenuto per ricapitalizzare le banche italiane con i Tremonti bond e i Monti bond e come ha fatto andando in aiuto della Grecia emettendo debito, proponiamo di utilizzare nuove risorse prese a prestito esplicitamente ed esclusivamente per sollecitare la ripresa interna ed europea. Un piano Marshall italiano per l’Italia, a favore dell’Europa e della sua sopravvivenza, che preveda l’emissione di debito sul mercato per fare prestiti alle piccole e medie imprese che desiderano avviare, in Italia, programmi di sviluppo, ricerca e investimenti produttivi. Per questo proponiamo di emettere fino a 16 miliardi di titoli (1 per cento del pil) indicizzati all’andamento del pil stesso – e dunque attualmente con un costo estremamente basso per le imprese vista la deflazione e la recessione in cui siamo intrappolati – e indirizzati esclusivamente a raccogliere risorse per finanziare investimenti privati realizzati da Pmi che intendono innovare ed esportare. E’ dunque un’emissione di debito destinata non a finanziare la spesa pubblica corrente, come avviene con le consuete emissioni, ma per far ripartire la crescita oggi e a sostenerla in futuro, esattamente là dove pare essersi incagliata. I denari si renderebbero disponibili a tutte quelle imprese che, senza troppe condizioni, sono disposte a crescere investendo sul loro futuro, che è poi quello del paese. Sono evidenti i riflessi positivi sull’occupazione.

 

Ecco il patto con i cittadini: nuovo debito per investimenti. E se le imprese li scelgono bene (di solito lo fanno), cresce il pil, e il loro debito è ripagato con gli interessi. Ovviamente è importante capire come potrebbe reagire a un piano di questo tipo la Commissione europea, che ne valuterebbe l’impatto contabile sulle grandezze di finanza pubblica ancor prima che sulla crescita economica. L’impatto sul deficit pubblico sarebbe nullo, perché la spesa per interessi dello stato sarebbe coperta dalle entrate degli interessi pagati dalle imprese. Addirittura, inizialmente, essendo i bond indicizzati alla crescita del pil che è oggi nulla o negativa, stato e imprese non pagherebbero interessi. L’impatto sul deficit potrebbe nascere successivamente, per eventuali perdite dovute a quelle imprese che non restituiscono i prestiti. Le imprese con crediti non ancora pagati da parte della Pubblica amministrazione pagherebbero gli interessi e il capitale nella misura in cui questi superano l’ammontare del loro credito. E quando l’economia riprenderà e il costo del debito salirà, le imprese saranno in grado di ripagarlo, in quanto sono cresciute loro stesse. Nella posizione finanziaria netta del settore pubblico non si avrebbero sostanziali modifiche: tanto prendo a prestito, tanto presto. Tuttavia, siccome il debito in Europa è contabilizzato al lordo degli attivi, si avrebbe un peggioramento statistico del debito nominale, ma nella misura in cui i prestiti riavviano la produzione industriale, l’impatto dell’emissione verrà riassorbita dal rapporto debito/pil grazie alla crescita.

 

Questa misura, oltre ad avere un impatto neutro sul deficit pubblico, ha il vantaggio di essere operativa con i tempi tipici di una decisione di investimento del mondo privato; e aiuterebbe in ultima analisi anche il sistema bancario visto che genererebbe la ripresa di tanti suoi clienti, disincagliando credito bloccato. La misura potrebbe essere ritenuta un “aiuto di stato” da parte dell’Ue? Ci sono ampi margini discrezionali della Commissione per giudicare quest’intervento come compatibile con il mercato comune; esso persegue obiettivi di interesse europeo (formazione, lotta alla disoccupazione, incremento delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione, tutela delle Pmi) in un paese fondamentale per la tenuta dell’Unione e dell’euro. L’Unione si fonda sui valori della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Valori che non possono essere soddisfatti se non attraverso lo sviluppo economico. Il rischio di non far nulla non è forse peggiore?

 

Secondo l’Istituto Piepoli, in una ricerca presentata di recente nella sala Nassirya del Senato della Repubblica, gli italiani sarebbero disposti a dare credito (ulteriore) al paese. Sfruttiamo quest’apertura. Iacta alea esto.