Matteo Orfini (foto LaPresse)

L'incubo del Puzzone

Gli antirenziani vedono Renzi danzare con il Cav. e gli girano assai, assai

Redazione

Orfini chiama Sel e gli ex montiani nel Pd. Alfano fa gruppo con Cesa e Mauro. Segnali di Toti al governo.

Per la sinistra è un fastidio che corre sotto la pelle, una specie di insidia dei nervi. Dice infatti Pier Luigi Bersani:  “Io sono andato a casa per non fare patti. A differenza di altri, io penso che nel mondo ci sia una destra e ci sia una sinistra”. E Stefano Fassina, che condivide le stesse allergie del vecchio segretario, si fa largo nel folto delle parole per alludere al pensiero che li tormenta tutti quanti: “C’è un tentativo di spaccare il Pd e poi offrire il soccorso azzurro al governo”. E infatti da quando si è diffusa la voce che Denis Verdini, nell’ombra di Arcore, compila liste di nuovi “responsabili” e offre al Cavaliere la suggestione di un gruppo parlamentare che, in caso di emergenza, possa staccarsi da Forza Italia per sostenere Renzi dall’interno della maggioranza, ebbene da quando questo evanescente mormorare ha tracimato i confini di Palazzo Grazioli per lambire Largo del Nazareno, e poi anche casa di Angelino Alfano, da quel momento, insomma, a sinistra come al centro, sono cominciate piccole-grandi manovre, riposizionamenti, ammuine, singhiozzi, offerte e velate minacce, tutta una danza per allentare l’abbraccio tra il Puzzone e il Rottamatore, tra il Cavaliere e il ragazzino.

 

E dunque Matteo Orfini, ieri alla Stampa, lui che del Pd è il presidente in quota minoranza rossa, ha invitato Sel e Scelta civica a entrare nel suo partito. “Credo che il Pd abbia bisogno di allargare il proprio campo d’azione”, ha detto. E a tormentare la sinistra è lo stesso brivido che incide di perplessità la fronte di Alfano che per tagliare la strada al Cavalier renziano ha deciso di costituire un nuovo gruppo parlamentare, a settembre, un manipolo costituito dalla somma dei suoi deputati e senatori con quelli di Lorenzo Cesa, l’ex segretario dell’Udc, e con quelli di Mario Mauro, l’ex berlusconiano ed ex montiano ed ex lettiano. Tutti più uniti, dunque, a sinistra e al centro, stretti stretti, per scongiurare l’eventualità cui forse un po’ sadicamente allude Giovanni Toti, il consigliere di Berlusconi: “Se Renzi apre alle nostre proposte, noi dialoghiamo anche subito. Siamo disponibili a dare una mano al centrosinistra per evitare figuracce”.

 

Nel nuovo centrodestra di Alfano lo teorizzano più o meno esplicitamente, “Renzi non può pensare di parlare soltanto con Berlusconi”, dice Fabrizio Cicchitto, mentre altri, a voce bassa, sussurrando, spiegano che unirsi con Cesa e Mauro serve, serve moltissimo, “serve a evitare che in qualche modo, direttamente o indirettamente, Berlusconi entri con un piede nella maggioranza come sogna Verdini”. E certo resta da dimostrare che Renzi ce lo voglia Berlusconi, o qualche ascaro berlusconiano, in maggioranza. Il presidente del Consiglio una cosa l’ha detta chiara: Berlusconi al governo mai. Lo ha ripetuto anche ieri sera, a “Millennium”, su RaiTre, “per noi l’accordo con Forza Italia è su due punti, due punti soltanto: le riforme istituzionali e la legge elettorale”. Ma chissà. Le strade della politica sono sempre oblique. E comunque il sospetto è sufficiente, tanto per Alfano, che si prepara ad assecondare l’antica ossessione democristiana per il centro, quanto per Bersani, per Fassina e per Matteo Orfini, che spalanca le porte del Partito democratico a Gennaro Migliore e Claudio Fava, ad Andrea Romano e Irene Tinagli, a tutti i pulviscoli – ma numericamente consistenti – del ceto parlamentare esploso dopo il fallimento elettorale di Scelta civica e la sopraggiunta irrilevanza di Nichi Vendola.

 

Dunque sui giornali, lungo i fili del telefono, nei colloqui privati e nelle blandizie pubbliche, è tutto un fiorire di abbracci, strette di mano, sorrisi complici che rivelano l’astuzia d’una manovra che la sinistra vorrebbe forse rivolgere contro Renzi e che Alfano vorrebbe usare per sopravvivere, per guadagnare spazio e tempo galleggiando negli interstizi del patto del Nazareno. Ma come dice un vecchio detto popolare, “il pellicciaio usa molte più pelli di volpe che d’asino”, e insomma l’astuzia può procurare qualche soddisfazione intellettuale ma anche grandi guai materiali. Renzi non intende ostacolare l’allargamento del Pd. Anzi. A Palazzo Chigi infatti sorridono, d’un sorriso privato, perché loro, a casa Renzi, giocano alle maggioranze variabili. E dunque se la maggioranza si allarga tanto meglio, dicono, “per noi è una fisarmonica. Se mancano i voti degli uni, poi arrivano quelli degli altri”. E Berlusconi? Il Cavaliere, per ora, non distingue il suo destino da quello del giovane premier.

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