Iraq, le armi della diplomazia vaticana

Matteo Matzuzzi

Francesco manda il suo fiduciario nell’inferno dei cristiani in fuga. “E’ un inferno. Se necessario, si usi la forza”, dice il vescovo di Erbil.

Dopo il comunicato con cui giovedì il Papa s’appellava alla comunità internazionale perché ponesse fine al “dramma umanitario” in corso in Iraq, Francesco ha deciso di prendere in mano l’iniziativa diplomatica della Santa Sede. Entro qualche giorno, fa sapere il direttore della Sala stampa, padre Federico Lombardi, il prefetto della congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, il cardinale Fernando Filoni, si recherà in Iraq, raggiungendo con ogni probabilità anche le zone curde. E’ lui che il Papa ha nominato “inviato personale” con l’incarico di portare “vicinanza spirituale alle popolazioni che soffrono e la solidarietà della chiesa”. Profondo conoscitore della realtà irachena, diplomatico di rango, il cardinale Filoni è stato nunzio in Iraq dal 2001 al 2006, non abbandonando Baghdad neppure durante l’ultima guerra del Golfo. “Spero di poter venire incontro alle esigenze di tanta gente, e non solo manifestando la sollecitudine del Papa, ma anche cercando di vedere con il Patriarcato cosa noi possiamo fare come chiesa universale”, ha detto il porporato alla Radio Vaticana. Un ruolo cruciale nel determinare la linea della Santa Sede pare destinato ad averlo proprio la chiesa caldea, con il suo massimo rappresentante, il patriarca Louis Sako, poco propenso a sedersi attorno a un tavolo con chi ha già fatto sapere che tra musulmani e cristiani non v’è che la spada.

 

“Il patriarca Sako è sul posto e quindi conosce molto bene tanti aspetti che purtroppo a noi possono sfuggire”, ha detto Filoni commentando le parole di Sako sul genocidio in atto. Oltretevere s’insiste sul dramma umanitario, sulla sofferenza dei cristiani costretti a mettersi in marcia scalzi senza nulla al seguito, mentre poco viene detto su cosa ha causato una delle più massicce emigrazioni forzate della storia recente. Anche il comunicato diffuso giovedì sera dalla congregazione per le Chiese orientali, il dicastero guidato dal cardinale Leonardo Sandri, non conteneva alcun accenno ai responsabili dell’esodo in corso, e cioè ai miliziani dell’Isis.

 

Sul campo, invece, lo spazio per la diplomazia è assai ridotto, e il clero invoca un aiuto concreto dalla comunità internazionale, che non può più limitarsi a dirsi inorridita dalle N di nazara (cristiano) dipinte sulle case o dagli episcopi dati alle fiamme insieme alle statue della Madonna: “Vediamo la morte e ciò che fanno i terroristi. I villaggi sono vuoti ma il mondo non sente e non vede. Non basta dare il pane per aiutare”, ha detto alla Radio Vaticana il vescovo di Amadiya, Kurdistan, mons. Rabban al Qas.

 

Intanto, con un comunicato diffuso al termine di una riunione tenutasi a Ed Dimane, in Libano, i patriarchi delle chiese orientali cattoliche e ortodosse hanno chiesto che “gli arabi e i musulmani adottino un atteggiamento fermo su quello che sta avvenendo nella piana di Ninive”, esortando i leader islamici a pubblicare delle fatwa affinché la persecuzione abbia termine. I patriarchi, inoltre, sottolineano “le timide e insufficienti” prese di posizione da parte “islamica, araba e internazionale” e si appellano all’Onu perché adotti in tempi brevi una risoluzione che ordini la restituzione delle case e di tutti i beni requisiti agli iracheni, “con tutti i mezzi possibili”. Anche con la forza, come diceva ieri alla Stampa il vescovo di Erbil, mons. Bashar Matti Warda, per il quale “se l’unico modo è rispondere con la forza alla forza, mi sembra proprio il caso di farlo”. Anche per porre argine alla distruzione di Qaraqosh, la principale città cristiana dell’Iraq, occupata due giorni fa dai miliziani: “Saccheggiano, devastano, rubano nelle case, non risparmiano nemmeno le chiese”, ha detto ieri mons. Yousif Thoma, vescovo di Kirkuk.

 

Da Roma fanno sapere che si sta lavorando per organizzare nelle prime settimane di settembre un incontro tra tutti i nunzi apostolici in vicino e medio oriente e il Pontefice. L’obiettivo, ha detto padre Lombardi, è di “studiare la situazione, scambiare idee e possibili iniziative e manifestare anche in questo modo la vicinanza del Papa e della chiesa universale ai problemi che sono in corso”. A ogni modo, dice al Servizio di informazione religiosa mons. Emil Shimoun Nona, vescovo di Mosul, non c’è altro tempo da perdere: “Ben vengano acqua, medicine, vestiti, kit sanitari e cibo ma ci sono anche altre urgenze e la prima è quella di fermare queste milizie. Se non saranno bloccate sarà dura anche per il Kurdistan. Sono jihadisti ben addestrati, più numerosi dei peshmerga, ben equipaggiati e pronti a tutto. Bisogna fermarli il prima possibile. Abbiamo bisogno di aiuto internazionale e di essere difesi. Quella che doveva essere una enclave protetta per i cristiani sta diventando il nostro inferno”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.