Del Torchio e Hogan dopo la firma dell'accordo (Foto Lapresse)

Finalmente lo straniero

Alitalia vola con Etihad, ma c'è ancora molta zavorra

Alberto Brambilla

Il ceo di Etihad, James Hogan, e l’ad di Alitalia, Gabriele Del Torchio, hanno celebrato la firma dell’intesa a Roma, a circa un anno dall’inizio delle trattative. Gli emiri salvano la compagnia dal default. Al governo e ai soci il resto.

Roma. Dopo quattordici anni di tentativi falliti, da ieri Alitalia ha un partner straniero, Etihad, convinto di potere rilanciare la compagnia italiana. Il ceo di Etihad, James Hogan, e l’ad di Alitalia, Gabriele Del Torchio, hanno celebrato la firma dell’intesa a Roma, a circa un anno dall’inizio delle trattative. La compagnia di Abu Dhabi sarà azionista al 49 per cento della nuova Alitalia, alla compagine dei vecchi soci andrà il 51 per cento. L’integrazione richiederà investimenti per 1,7 miliardi. Il patto verrà ora sottoposto al vaglio dell’Antitrust europea. E’ stata una giornata storica per Alitalia: dopo una gestione pubblica dissipatoria, cinque anni fa è passata nelle mani incerte di una cordata di imprenditori italiani e ha sfiorato il tracollo. Ora può tornare competitiva assieme alla compagnia emiratina. “Gli investimenti stranieri, a volte, arrivano e insieme anche le competenze – dice Andrea Giuricin, economista dell’Istituto Bruno Leoni – Il piano industriale Etihad-Alitalia è credibile seppure non eccessivamente ambizioso, sopra tutto si concentra sul lungo raggio. Hogan sembra essere riuscito a trasformare Alitalia in un’azienda privata per il modo in cui sarà guidata”. Avere scongiurato il fallimento non significa essere già pronti per il decollo. “Ora ci sarà da lavorare di più, per tutti”, dice Hogan. Governo e soci compresi.

 

Ci sono anche problemi irrisolti con cui la politica dovrà misurarsi, dal lavoro alle infrastrutture. Il governo dovrà gestire il re-impiego di parte dei dipendenti Alitalia in esubero che andranno in mobilità da settembre. Lo farà attraverso i “contratti di ricollocamento”, strumento inedito in Italia per il quale sono stati stanziati 15 milioni (il lavoratore licenziato riceve per quattro anni un assegno pari all’80 per cento del salario stante l’obbligo di cominciare un percorso di formazione). Spetterà poi al ministero dei Trasporti e agli enti locali potenziare la rete ferroviaria che collega l’aeroporto di Fiumicino a Roma, com’era nei desiderata di Etihad. Fiumicino è l’hub cardine nel nuovo piano industriale: riceverà un crescente numero di passeggeri (fino a 70 milioni l’anno nel 2020) da nuove destinazioni intercontinentali e li smisterà sulle rotte asiatiche passando da Abu Dhabi, la base di Etihad. Per gestire il flusso si era parlato di implementare l’Alta velocità sui trenta chilometri che separano lo scalo dalla capitale: opera complessa, dicono gli ingegneri, cui gli enti locali oppongono l’idea di una metropolitana di superficie. Sull’altro aeroporto strategico, al nord, quello di Milano-Linate, aumenteranno i voli internazionali e si era parlato di liberalizzare le rotte attraverso un decreto governativo allo scopo di consentire a Etihad di alimentare il suo network europeo, fatto di vettori di media stazza. Il “decreto Linate”, però, sembra sommerso.

 

Chi se la vedrà con le low cost? Domanda per i Benetton, azionisti con Atlantia (al 7,44 per cento) e proprietari di Adr, società che gestisce Fiumicino. Lasceranno che i concorrenti crescano in modo massiccio mettendo pressione sull’Alitalia in ristrutturazione? Ryanair offre biglietti a prezzi stracciati sulla rotta più trafficata (Roma-Catania). Vueling conta di aggiungere 33 collegamenti nazionali e internazionali dalla capitale. EasyJet ambisce ad aumentare del 33 per cento il traffico a fine 2014. Le conseguenze riguardano anche l’occupazione. Un hub affollato dai vettori tradizionali, come il Charles de Gaulle di Parigi, offre il 25 per cento di posti in più rispetto a un aeroporto per low cost, come il Londra-Stansted (750 contro 1.000 per ogni milione di passeggeri), dice l’Airport council international. Le low cost infatti non richiedono servizi come il trasporto bagagli. Mentre le grandi compagnie si agganciano a società esterne per catering e smistamento bagagli (e a volte s’incorre in episodi impietosi come in questi giorni a Fiumicino).

 

Il purgatorio dei “capitani timorosi”

 

I soci italiani dovranno investire ancora. Da novembre a oggi, banche e azionisti, hanno avallato operazioni finanziarie per 1,5 miliardi (tra linee di credito, conversione di debiti in azioni e nuova finanza). Ieri è stato approvato un aumento di capitale da 300 milioni per sostenere Alitalia fino a novembre quando l’alleanza sarà operativa (e cambieranno i vertici). Ma la compagnia tornerà profittevole solo nel 2017 quando Etihad prevede 108 milioni di utili su 3,7 miliardi di ricavi (un rapporto del 2,9 per cento, il doppio della media globale). Saranno dunque tre anni di purgatorio per i “capitani timorosi”.  

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.