Una foto del virus ebola visto al microscopio (Foto Ap)

Perché l'ebola non ci ucciderà tutti

Giulia Pompili

Sono i titoli a essere sbagliati, non la sostanza. “Ebola, ora l’emergenza è mondiale”. Cosa ha detto davvero l’Organizzazione mondiale della Sanità sull’epidemia in Africa occidentale e i rischi per l’Europa.

Sono i titoli a essere sbagliati, non la sostanza. “Ebola, ora l’emergenza è mondiale”. Così la maggior parte dei media, dopo la pubblicazione del comunicato dell’Organizzazione mondiale della sanità. In realtà, a leggere la dichiarazione ufficiale diffusa dopo la riunione d’emergenza, il messaggio è un altro: la comunità internazionale deve aiutare l’Africa occidentale a sostenere l’emergenza. Perché in Africa, dove i protocolli sanitari sono meno efficaci e mancano la maggior parte dei presidii necessari per contenere il contagio, il rischio che il virus porti a un collasso sanitario, demografico, sociale, è un rischio reale. “L'epidemia attuale è iniziata in Guinea nel dicembre 2013 e si è estesa in Liberia, Nigeria e Sierra Leone. Al 4 agosto scorso sono stati segnalati 1.711 casi (1.070 confermati, 436 probabili, 205 sospetti), di cui 932 decessi”, una percentuale di mortalità che è impressionante, certo, ma (fortunatamente) non paragonabile ai milioni di morti fatti dal vaiolo, per esempio, oppure dall’influenza spagnola. Il termine pandemia (dal greco pan-demos, "tutto il popolo") ha un significato ben preciso. Non erano pandemie la Sars, per esempio, o l’influenza A H1N1 (quella suina), così come non lo è la febbre emorragica data dal virus ebola. Quel che è certo è che alla luce dei dati dell'Oms, quella che sta vivendo l’Africa “è attualmente la più grande epidemia di ebola mai registrata”.

 

L’altro ieri anche il presidente Barack Obama, al vertice Africa-Stati Uniti, ha ricordato che “il virus Ebola è controllabile attraverso una rigida e efficacie struttura sanitaria”. Nel corso della riunione di ieri l’Oms ha più volte sottolineato come il rischio di una diffusione in Europa e America sia molto, molto basso. Perché la trasmissione del virus non avviene per via aerea, perché i protocolli sanitari dei paesi europei e statunitensi sono molto rigidi, perché queste nuove linee guida pubblicate dall’Oms per i paesi membri servono a tenere alta la guardia ma soprattutto chiamare l’occidente a dare  “una risposta internazionale coordinata,  ritenuta essenziale per fermare e invertire la diffusione internazionale dell’ebola”.

 

Il motivo di certi titoli enfatizzanti è legato forse al fatto che la febbre emorragica, uno dei sintomi del virus ebola, è molto cruenta. C’è poi il rischio del bioterrorismo: il virus ebola è classificato agente bioterroristico di categoria A (la scala degli agenti che possono essere usati dai terroristi va dalla A alla C, dai più pericolosi ai meno pericolosi) per la velocità di trasmissione e il tasso di mortalità. E’ per questo che da tempo la Sicurezza nazionale si occupa di trovare una cura o di studiare eventuali mutazioni del virus. Nel 1993 la setta giapponese Aum Shinrikyo guidata da Shoko Asahara –setta responsabile la strage nella metropolitana di Tokyo del 20 marzo 1995 col gas sarin che uccise dodici persone e ne intossicò 600 mila – inviò un gruppo di 16 persone, tra medici e infermieri in Zaire per una finta missione medica utilizzata come copertura per studiare e isolare il virus ebola, da utilizzare in attentati terroristici.

 

E poi c’è la questione principale, la cura. Attualmente non esiste vaccino né una terapia efficace contro il virus ebola. Ma molte sono in fase di studio e ce n’è una, in particolare, che promette bene. Il 6 agosto scorso è stata la stessa Oms a interrogarsi sulla nuova terapia sperimentata in America, ad Atlanta, su due cittadini americani che avevano contratto l’ebola in Liberia. Avevamo spiegato come l’industria del tabacco stava collaborando a produrre un farmaco che aveva dato ottimi risultati contro il virus sui primati, ma che non era mai stato sperimentato sull’uomo. Ma il trattamento di due cittadini americani con un farmaco sperimentale – che ha dimostrato di migliorare le condizioni dei pazienti – pone alcuni interrogativi etici: chi deve utilizzare le poche scorte di un medicinale in via di sperimentazione? La questione è etica e morale, e l’Organizzazione mondiale della sanità dovrà dare presto una risposta. Prima che la psicosi da ebola diventi più pericolosa del virus stesso.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.