Una squadra di caccia americani F18 a bordo di una portaerei (foto LaPresse)

Obama autorizza i primi bombardamenti mirati in Iraq

Redazione

Lo conferma il Pentagono: due caccia Fa-18 hanno bombardato postazioni dello Stato islamico presso Idlib. La Casa Bianca ha dato l'ordine per difendere le minoranze religiose a nord del paese. Il Papa: "Pregate per loro".

Barack Obama ha dato il via libera per effettuare i primi bombardamenti mirati in Iraq contro lo Stato islamico. Secondo un comunicato del Pentagono, due caccia Fa-18 hanno bombardato postazioni dello Stato islamico presso Idlib con 500 bombe a guida laser. Il sottoammiraglio John Kirby ha dichiarato che i combattenti sunniti hanno tentato di attaccare con l'artiglieria le postazioni dei peshmerga curdi presso Erbil, dove sono basati anche militari americani. Contemporaneamente, le Nazioni unite sono al lavoro per aprire un corridoio umanitario nel nord del paese per fornire i primi aiuti alla popolazione. Dopo la conquista della diga di Mosul, la più grande le paese, lo Stato islamico aveva preso il controllo anche di Qaraqosh, la più grande città a maggiornaza cristiana dell'Iraq.

 

Lo scopo è quello di impedire "il genocidio sentinaia di migliaia di cristiani" e delle altre minoranze religiose che hanno trovato rifugio nelle zone desertiche in prossimità del monte Sinjar. L'America torna in Iraq e Obama dopo tante riflessioni ha deciso di intervenire, i caccia sono tornati a volare nei cieli iracheni: "L'obiettivo è umanitario", ha specificato, e gli aerei americani hanno infatti iniziato anche il lancio di cibo e acqua agli sfollati.

 

 

Intanto, dopo le compagnie aeree statunitensi, anche la britannica British Airways ha sospeso il sorvolo dei cieli iracheni dopo l'acuirsi del conflitto e l'avvio dei bombardamenti americani.

 

Nel pomeriggio, la Casa Bianca ha annunciato che i raid aerei contro gli jihadisti dello Stato Islamico proseguiranno almeno finché non si formerà un governo inclusivo a Baghdad. Il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ha escluso però l'invio di truppe di terra e sottolineando che l'iniziativa militare si concentrerà sulla protezione del personale americano e degli sfollati nella regione montagnosa di Sinjar, a est di Mosul. Gli Usa ritirarono quasi tutte le truppe - tranne un contingente a protezione dell'ambasciata e ufficiosamente, unità delle forze speciali - alla fine del 2011 per il rifiuto dell'allora e attuale premier, lo sciita Nouri al Maliki, di concedere l'immunità funzionale ai soldati americani.

 

"All'inizio settimana un iracheno gridò che non c'era nessuno ad aiutarli, bene oggi l'America è venuta ad aiutarli", così Obama aveva parlato in diretta televisiva alla nazione, sottolineando però che non avrebbe permesso "che gli Stati Uniti vengano trascinati in un nuovo conflitto in Iraq". La decisione del presidente americano era giunta al termine di una giornata complicata, durante la quale aveva dovuto mediare tra la parte interventista, pronta a dare il via libera a un intervento armato diretto, e quella isolazionista, che se ciò fosse accaduto, si sarebbe rifiutata di appoggiare il governo. La conquista però da parte dei militanti dello Stato islamico della più grande diga irachena, a poca distanza da Mosul nel nord del paese, e l'avanzata su Erbil, avrebbero dato il via libera a questo intervento ibrido. La prima missione era stata portata a termine già nella notte, come annunciato dal presidente degli Stati Uniti, e aveva permesso di far cadere acqua e cibo alle migliaia di membri delle minoranze religiose (cristiani e anche yazidi) assediati nella montagna di Sinjar a causa dell'avanzata dei miliziani sunniti.

 

A Erbil continua la difesa dalle milizie dei Peshmerga, ma l'avanzata dei jihadisti sembra difficile da fermare. I guerriglieri curdi appaiono male armati e hanno perso il controllo di numerosi centri abitati. La caduta della capitale della regione curda avrebbe conseguenze catastrofiche per l'Iraq.                                        

 

"Vi prego di dedicare un momento oggi alla preghiera per tutti coloro che sono costretti a lasciare la loro casa in Iraq". Questo il secondo tweet che Papa Francesco scrive dal suo account Pontifex riguardo alla drammatica situazione nella piana di Ninive in Iraq. Il tweet si chiude con l'hastag #prayforpeace.