Barack Obama (foto Ap)

Se questa è intelligence: il pasticcio di Obama a Cuba non è isolato

L’aspetto più allarmante non è il modo dilettantesco e surreale con cui l’America ha condotto un’operazione di intelligence a Cuba con l’obiettivo di suscitare un movimento insurrezionale nel cuore del regime.

New York. L’aspetto più allarmante non è il modo dilettantesco e surreale con cui l’America ha condotto un’operazione di intelligence a Cuba con l’obiettivo di suscitare un movimento insurrezionale nel cuore del regime. Il problema è che il dilettantismo è diventato la regola operativa dello spionaggio americano. Gli agenti reclutati da Washington erano ragazzi venezuelani, peruviani e della Costa Rica senza nessuna esperienza nell’intelligence, mandati all’Havana come turisti, o con la “perfetta copertura” – come la chiama un memo d’intelligence – di un workshop sulla prevenzione dell’Aids.

 

Erano impiegati dal contractor Creative Associates International, che lavora con Usaid, l’agenzia del governo che si occupa di sviluppo e cooperazione internazionale, e la loro missione consisteva nel girare l’isola alla ricerca di potenziali attivisti da arruolare nella causa democratica contro il regime castrista. L’apparato di intelligence americana aveva fornito un addestramento da barzelletta sullo spionaggio, con tanto di “seminari di 30 minuti” sui metodi per eludere gli agenti cubani; nel caso fossero stati scoperti, assicurava un documento pubblicato dall’Associated Press, “le autorità non vi faranno del male, al massimo vi spaventeranno”, perché il regime evita accuratamente la cattiva pubblicità. Tutto questo per una paga da 5,41 dollari l’ora, circa metà del salario minimo che Barack Obama ha promesso d’imporre a livello federale.

 

L’Amministrazione, insomma, ha mandato dei ragazzi stranieri sottopagati a organizzare una rivoluzione in uno dei regimi comunisti più longevi del mondo protetto da servizi d’intelligence di indiscussa capacità. Quando, alla fine degli anni Ottanta, uno dei generali dei servizi cubani è passato dall’altra parte della cortina, la prima cosa che ha rivelato è che tutti gli agenti della Cia mandati a Cuba durante la Guerra fredda facevano il doppio gioco.

 

Due anni fa i servizi dell’Havana sono riusciti a inventare un’operazione di linciaggio mediatico contro il senatore democratico Robert Menendez, accusato di coltivare un giro di prostituzione nella Repubblica Dominicana, e a fare in modo che ad alimentarlo fossero i “pundit” più estremi della destra americana. Gli ultraconservatori lavoravano a loro insaputa per il regime comunista. E’ temerario pensare che un’operazione del genere potesse funzionare, ma si può individuare un trend nei calcoli sbagliati dell’intelligence. Le false informazioni dell’agente Curveball sulle armi di distruzione di massa di Saddam non hanno cambiato il modus operandi. E nemmeno il disastro di controinformazione alla base Chapman, in Afghanistan, dove nel 2009 un miliziano di al Qaida si è fatto esplodere uccidendo i sette funzionari della Cia che gli avevano aperto le porte. Per sovrammercato, si è passati dall’incapacità di raccogliere informazioni utili nel campo nemico a quella di trattenere i propri segreti. Prima il soldato semplice Bradley Manning, ora Chelsea, ha passato a Wikileaks centinaia di migliaia di cablogrammi diplomatici sottratti con un click; infine è arrivato Edward Snowden, il quale non soltanto ha trafugato i programmi di spionaggio della Nsa, ma ha trovato asilo nella più acrimoniosa fra le potenze rivali dell’America. Ed è nel delicato scambio d’informazioni con l’intelligence russa che sono passati inosservati agli occhi delle spie americane gli allarmi sugli attentatori di Boston.

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