Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (Foto Ap)

Exit strategy politica

Netanyahu si ritira da Gaza e resiste a chi vuole prolungare la guerra

Rolla Scolari

Pressioni politiche per “finire il lavoro” contro Hamas. Negoziati in corso al Cairo per una Striscia demilitarizzata.

Milano. Sono terminati i raid israeliani su Gaza, i lanci di razzi dei gruppi armati palestinesi sul sud d’Israele e i soldati di Tsahal hanno lasciato la Striscia. Una tregua di 72 ore annunciata lunedì sera dall’Egitto è entrata in vigore ieri mattina. Nei momenti prima dell’inizio del cessate il fuoco, bombardamenti israeliani hanno colpito obiettivi nel piccolo territorio costiero e le sirene d’allarme hanno suonato nelle comunità rurali del sud d’Israele, ma anche a Tel Aviv e a Gerusalemme, e razzi di Hamas sono arrivati fino ai territori palestinesi della Cisgiordania. Il comandante del fronte operativo meridionale israeliano, il generale Sami Turgeman, ha detto ai giornalisti che “le truppe restano pronte e preparate sul confine con la Striscia”. Nelle ultime settimane, sono stati numerosi i cessate il fuoco finiti dopo poco.

 

La guerra a Gaza è durata quasi un mese: interi quartieri della Striscia sono stati rasi al suolo dai bombardamenti israeliani, sono quasi 1.900 le vittime palestinesi e 67 quelle israeliane, 64 soldati e tre civili. Per ricostruire Gaza, ha detto il ministro dell’Economia palestinese Mohammed Mustafa al giornale al Ayyam, serviranno almeno sei miliardi di dollari.

 

Benjamin Netanyahu e i vertici militari hanno dichiarato che l’obiettivo della campagna era la distruzione delle gallerie utilizzate da Hamas per infiltrarsi in Israele e delle infrastrutture missilistiche. Il premier israeliano si è congratulato ieri con esercito e intelligence, parlando di “un successo”. In ventinove giorni, spiegano i portavoce militari, sono stati annientati 32 tunnel. Con il ritiro dei soldati dalla Striscia per il primo ministro inizia la delicata fase dell’exit strategy politica, alle cui sorti è legato il suo futuro di leader della destra. Se durante l’intera durata della campagna l’opinione pubblica è stata dalla sua parte, sia alcuni ministri sia la sua base elettorale hanno spinto per un’azione militare più intensa, capace non soltanto di indebolire Hamas, ma di sradicare il movimento dalla Striscia e di eliminare definitivamente il lancio di razzi. Soltanto pochi giorni fa, un sondaggio dell’emittente nazionale Channel 2 raccontava che il 56 per cento degli israeliani è contrario a lasciare Gaza e ieri i cronisti locali hanno raccolto molte testimonianze di giovani soldati che, ritirandosi dalla Striscia, si lamentavano per la fine delle ostilità. “Non c’è una chiara vittoria qui”, ha detto un militare della brigata Golani al quotidiano Yedioth Ahronoth. “Non avrei terminato adesso i combattimenti – spiega un altro – Una vittoria ci sarà soltanto quando i residenti delle comunità del sud potranno dormire tranquilli”.

 

Alla corte del presidente Sisi

 

Una delegazione israeliana sarà in queste ore al Cairo, dove i mediatori egiziani stanno già trattando con responsabili delle fazioni palestinesi. E’ alla corte del presidente Abdel Fattah al Sisi che si gioca la partita dei negoziati. Se i palestinesi chiedono l’apertura delle frontiere e la fine del blocco israeliano su Gaza – imposto dal 2007, quando Hamas ha conquistato militarmente la Striscia – per Israele il territorio “deve essere demilitarizzato”, ha detto ieri il portavoce di Netanyahu, Mark Regev. E’ in queste trattative che il premier scommette sulla sua tenuta politica. Secondo alcuni analisti israeliani, se le concessioni che Israele dovrà fare sembreranno essere favorevoli al movimento islamista Hamas più che al rais palestinese e capo dell’Autorità nazionale Abu Mazen, il primo ministro sarà nei guai. E’ sotto attacco da giorni, additato già da alcuni come il politico che avrebbe potuto neutralizzare il problema Hamas ma non lo ha fatto. Netanyahu è stato molto attento a dichiarare obiettivi militari limitati nell’operazione a Gaza – la distruzione dei tunnel. Tuttavia, sono forti le voci di chi avrebbe preferito un prolungarsi dell’offensiva, nonostante il costo umano pesantissimo: “Il problema è che Netanyahu non vuole un’alleanza, non vuole trattare, non vuole negoziati. Vuole preservare il regime di Hamas”, scrive Ben Caspit su Maariv. Per ora, la linea dei suoi ministri più oltranzisti, come Avigdor Lieberman e Naftali Bennett, che hanno pubblicamente criticato il premier durante l’intera campagna militare, non ha prevalso. Netanyahu si sta già riposizionando, ha spiegato ieri il direttore di Haaretz Aluf Benn, presentandosi come il leader “responsabile”, in opposizione a certi “pazzi della destra”.