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Talvolta giova alla salute

L'industria del tabacco ogm ci salverà dal virus ebola

Giulia Pompili

Non esiste un vaccino o un trattamento specifico per il virus ebola, ma molti farmaci sono in fase di sviluppo. La scienza del fumo collabora a quello più promettente contro l’epidemia.

Non si sa ancora se sarà davvero un’azienda di soli nove dipendenti con base a San Diego a salvare il mondo – ma soprattutto l’Africa occidentale – dal virus ebola. Eppure Kent Brantly, il medico americano trentatreenne che aveva contratto il virus letale mentre prestava servizio in Liberia e trasferito all’ospedale di Atlanta il 2 agosto scorso, è stato il primo paziente a essere sottoposto alle cure con il farmaco sperimentale ZMapp, e ha dato subito segni di miglioramento. E ha iniziato le stesse cure anche Nancy Writebol, una missionaria cristiana in Liberia, anche lei atterrata ieri ad Atlanta.

 

Non esiste un vaccino o un trattamento specifico per il virus ebola, ma molti farmaci sono in fase di sviluppo. Per esempio quello della Mapp Biopharmaceutical Inc., fondata nel 2003, una piccola azienda che si occupa del trattamento di malattie infettive diretta da Larry Zeitlin, biologo. Sul suo sito internet gli unici comunicati stampa si riferiscono ad alcuni studi sul virus ebola, e di un trattamento sperimentato dal 2012 su alcune scimmie. I risultati sui primati, all’epoca, erano stati “sorprendenti”, come aveva dichiarato il virologo Gene Olinger dell’Istituto per la ricerca delle malattie infettive dell’esercito americano (UsaMriid). Gli studi alla MappBio sono infatti una collaborazione tra il governo americano e altri istituti di ricerca. Nessun “siero segreto” è stato iniettato ai pazienti americani, ma un farmaco che ha avuto una “via preferenziale” rispetto al protocollo di sperimentazione umana visti gli ottimi risultati ottenuti precedentemente. L’ebola è considerato una minaccia in caso di guerra biologica e bioterrorismo, per questo il governo americano (assieme a quello canadese) se ne occupa da almeno dieci anni.

 

Ma a essere sorprendente in questa storia è piuttosto il ruolo della Reynolds American Inc., la seconda compagnia di tabacco americana. Che c’entra il tabacco con l’ebola? Gli anticorpi alla base del farmaco ZMapp sono prodotti da un ceppo australiano della pianta di tabacco (la Nicotiana benthamiana). Le piante di tabacco modificate geneticamente sono coltivate in una serra di 23 ettari della Kentucky Bioprocessing di Owensboro, società acquistata nel gennaio scorso dalla Reynolds American, a sua volta affiliata al mostro americano R. J. Reynolds Tobacco. Lo stesso ceppo di tabacco è stato usato per alcuni farmaci sperimentali contro virus influenzali pandemici. Se la Nicotiana benthamiana attualmente coltivata con i soldi della R. J. Reynolds Tobacco fosse davvero alla base di un farmaco contro la diffusione del virus ebola, sarebbe un gran colpo per il colosso americano, simbolo (negativo) della nuova cultura ultrasalutista americana.

 

Scene di panico
L’ebola è un virus particolarmente aggressivo che causa una febbre emorragica e ha un tasso di mortalità tra il 60 e il 90 per cento. Da febbraio ha già ucciso quasi 900 persone in Africa occidentale. Oltre a evocare nell’immaginario collettivo l’incubo delle calamità raccontate nei film catastrofici di Hollywood, le epidemie hanno delle conseguenze sulla stabilità della regione in cui si diffondono, dal punto di vista sociale, ma anche economico – basti pensare al settore del turismo. E’ per questo che ogni focolaio diventa immediatamente una questione di sicurezza nazionale. Negli ultimi giorni in Corea del sud, per esempio, la notizia della diffusione del virus ebola era in apertura su tutti i giornali e il governo di Seul ha attivato un protocollo di screening da Grande fratello epidemico: negli aeroporti sono stati attivati dei monitor che controllano la temperatura corporea di ogni singolo passeggero. La psicosi sudcoreana è probabilmente legata al numero di pellegrini che sta raggiungendo la Corea in vista della visita di Papa Francesco a Seul, che inizia ufficialmente il 14 agosto. L’aspetto sociale è altrettanto destabilizzante: l’altroieri decine di persone hanno protestato bloccando alcune strade della capitale della Liberia, Monrovia, perché nessuno ha ancora spiegato loro cosa fare dei morti che si ritrovano in casa. Il governo liberiano ha messo in quarantena alcune zone del paese, le frontiere sono chiuse, i servizi sanitari al collasso. Le autorità hanno vietato il contatto con i cadaveri – principale veicolo del virus – ma intanto “in questo quartiere quattro persone sono morte” ha detto all’Afp un manifestante, “e nessuno di loro è stato sepolto”, aggiungendo che i tentativi di contattare il numero d’emergenza del ministero della Salute liberiano sono stati vani.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.