Roberto Calderoli (foto LaPresse)

Politicamente correttissimo

Terribilismi

Luigi Manconi

Calderoli, Taverna, Minzolini e altri fenotipi di un medesimo, grottesco Carattere Nazionale

Qualche ironia e un pizzico di stupore – oltre a una impermeabile indifferenza, com’è ovvio – hanno accompagnato un mio lungo articolo con acclusa replica di Giuliano Ferrara. Descrivevo il Mood ridanciano che sembra dominare lo scenario pubblico-politico. E raccontavo come, di quel Mood, tutti siamo in qualche modo corresponsabili e partecipi: vittime o protagonisti, primi attori o comparse o pubblico pagante. Tutti vi troviamo un ruolo perché quella commedia sollecita i meccanismi profondi del nostro sadomasochismo; e perché deridere l’altrui cialtroneria aiuta a riconoscersi, misericordiosamente, in essa: e, di conseguenza, contribuisce a un rituale di autoassoluzione. Poi sottolineavo come, senza alcuna tentazione di superiorità, abbia deciso da molto tempo di stabilire un confine, sottraendomi, nei limiti del possibile, alla tentazione di accettare il ruolo di antagonista (speculare, ahimè quanto speculare) di tipini come Carlo Giovanardi, Maurizio Gasparri, Matteo Salvini. Non è semplice. Tanto più che si è verificato un ulteriore salto, per così dire, di qualità: e oggi quel Mood non è più lo Zeitgeist, lo Spirito del tempo: esso è il tempo.

 

Basti leggere alcuni brani di una cronaca della contemporaneità (la Stampa, 23 luglio), dovuta alla penna allegramente psicotropa di Mattia Feltri: “Roberto Calderoli, una specie di animale bicefalo, ufficialmente relatore della maggioranza per l’abolizione del Senato, ufficiosamente e ormai più concretamente capo dell’opposizione, entra e un gruppuscolo di Cinquestelle consegna a Paola Taverna il ruolo di portavoce: ‘Allora Robbè? Che se fa? Giorno, notte, sabato domenica?’. La conferenza dei capigruppo, cioè il summit dei boss, ha appena deciso che si lavorerà a oltranza perché il governo vuole la riforma. Subito e così com’è. (…). Infatti quando Calderoli è entrato nella stanzetta, erano tutti lì ad aspettare sostegno: ‘Hanno deciso che da lunedì si lavora dalle nove di mattina a mezzanotte, dal lunedì alla domenica, ma voi naturalmente sapete che ogni senatore ha diritto di discutere in Aula il calendario, vero?’. ‘Certo Roberto’. ‘Siete preparati?’. ‘Certo Roberto’. ‘Tu che proporrai?’. ‘Proporrò di anticipare la discussione del bilancio del Senato’. ‘Ottimo. E tu?’. ‘Io di privilegiare i question time’. ‘Benissimo’. ‘Siamo preparati vero, Roberto?’”.

 

Questo il resoconto. E si deve tener presente che i due protagonisti, Calderoli e Taverna, rappresentano magnificamente due icone della mostruosità e della “monstruosità” politico-mondana. Due espressioni, per strattonare Mario Tronti, di altrettante rudi razze pagane (ma la classe operaia, al confronto con queste nuove etnie, risulta incomparabilmente più elegante). Quella del primitivismo naturalistico e corporale della ruralità leghista e quella del sovversivismo nichilista e rauco del folclore grillino. Entrambe, ciascuna a suo modo, manifestazione di un Terribilismo che si vorrebbe anti-sistema ed extra-istituzionale e che si propone come totalmente irriducibile alla logica del comparaggio e del consociativismo.

 

Eppure, eccoli qui Calderoli e Taverna, belli accomodati dentro il confortante Mood Ridanciano, rotti a qualunque compromesso di stile e di metodo (per quanto riguarda i contenuti, figuriamoci se sono un problema), pur di mimare una qualsivoglia rappresentazione di alterità da esibire in società (civile). Non mi costringerete nemmeno stavolta a utilizzare l’indecente parola “inciucio”, ma insomma… E’ davvero il trionfo del Carattere Nazionale, esaltato dal ricorso a tonalità e dialetti che rimandano – sia pure attraverso contorti itinerari antropologici – al medesimo ceppo linguistico e morale. E’ quello stesso carattere definito una volta per tutte dall’acido sarcasmo di Vittorio Gassman: “Personaggi drammatici che si manifestano comicamente” (“La terrazza”, Ettore Scola, 1980). Anche questo grottesco episodio segnala l’importanza della questione del limite. In quello scampolo di teatro vernacolare, raccontato da Feltri, non si ritrova solo il malinconico epilogo di due vicende politiche (quella della Lega e quella di 5 stelle) che aspiravano alla più radicale alterità. Vi si scorgono anche le biografie personali di uomini e donne che – al di là del recitato – tendono irresistibilmente a rassomigliarsi, ad assumere lo stesso linguaggio, lo stesso stile, gli stessi abiti, la stessa postura fisica, psicologica e morale.

 

Fino alla sovrapposizione consustanziale delle due facce. Come nelle mirabolanti metamorfosi di Barbottina e Barbazoo, il volto della Taverna assume il colorito, le gote tonde, le labbra sottili di Calderoli; e quest’ultimo si fa aggrottato e aggrondato, come solo lei sa essere, e sbotta in un: li mortacci. Così la mimesi simbiotica si realizza compiutamente. Passano alcuni giorni e ancora Mattia Feltri scrive: “Augusto Minzolini si buttava a pesce, tipo le rockstar, sugli amici leghisti. I Cinque stelle si abbracciavano esultanti, e anzi, in un meticciato politico-geografico i grillini abbracciavano i padani e i padani abbracciavano i meridionali delle Grandi autonomie i quali cercavano di abbracciare un esterrefatto Giulio Tremonti, impegnato a godere con riservata dignità. La festa è proseguita fuori. Ancora Minzolini, avvinto a Corradino Mineo” (1° agosto). Ovvero come la compenetrazione dei corpi in un abbraccio carnale possa esaltare la comunione dei sensi.

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