Marco Pantani (foto LaPresse)

Chi ha ucciso Marco Pantani?

Redazione

Troppi misteri e troppi buchi neri sulla morte del Pirata. Dieci anni dopo si riapre il caso: "Non suicidio involontario ma omicidio".

«Me l’hanno ammazzato». Questo fu il grido della madre di Marco Pantani quando seppe della sua morte, il 14 febbraio 2004. Ora la Procura di Rimini ha deciso di riaprire il caso: l’ipotesi investigativa, secondo il procuratore Paolo Giovagnoli, non è più quella originale di «morte come conseguenza accidentale di overdose», ma quella di «omicidio volontario» a carico di ignoti.

Francesco Ceniti e Luca Gialanella, La Gazzetta dello Sport 2/8

 


Il fascicolo, coperto dal segreto più assoluto, è stato affidato al pm Elisa Milocco, 33 anni, al primo incarico. Mensurati e Pinci: «Scavando un po’, si riesce a scoprire un dettaglio decisivo per comprendere i contorni di una notizia che riscrive un pezzo della storia dello sport italiano, e cioè che tutto origina dalle indagini difensive di cui Tonina Pantani, la mamma di Marco, ha incaricato, quasi un anno fa, l’avvocato Antonio De Rensis».

Marco Mensurati e Matteo Pinci, la Repubblica 2/8

 


Questi i fatti. Pantani venne ritrovato da Pietro Buccellato, portiere del residence Le Rose di Rimini, la sera di San Valentino del 2004, era sabato, intorno alle 20.30, all’interno della stanza D5. La polizia trovò il corpo dell’ex ciclista riverso faccia a terra, con le braccia quasi a protezione del viso, in una pozza di sangue. Addosso solo un paio di jeans, avvolto a una gamba un lenzuolo. La stanza si presentava come se fosse stata travolta da un uragano. Sul tavolo tre boccette di tranquillanti e antidepressivi (Control, Flunox e Surmontil), in giro parecchia cocaina.

Francesco Ceniti, La Gazzetta dello Sport 2/8

 


Le indagini durarono 55 giorni. Alla fine tutto, secondo la polizia e la procura, era chiaro: si era trattato di morte per overdose. «Pantani era arrivato al residence di Rimini alle 12 di lunedì 9 febbraio. Privo di bagaglio, sulle spalle uno zainetto scuro. Niente cellulare. Lascia la carta d’identità alla reception e sale in uno dei sei monolocali soppalcati “Mimosa” da tre/quattro posti, il D5: 55 euro a notte per 28 metri quadrati con salottino, angolo cottura su piano di marmo; pensili, mobiletto all’ingresso e tavolo centrale tondo con sedie in legno laccato verde. Tv color e telefono diretto. È l’appartamentino più economico al quinto piano di un residence dai muri verdi che ai clienti ne offre in tutto 40».

Alessandro Giuli, Il Foglio 6/3/2004

 


Aveva telefonato ai suoi spacciatori dicendo che li avrebbe aspettati nel residence. Era uscito una sola volta per andare dai pusher che gli avevano venduto 20 grammi di cocaina. Per il resto era rimasto lì dentro, da solo, e nessuno, aveva giurato il portiere, era entrato o uscito di lì. Il 14 febbraio per due volte aveva chiamato la portineria chiedendo l’intervento dei carabinieri per «alcune minacce». Pensando che si trattasse del delirio di un uomo in crisi di astinenza, non salì nessuno.

Marco Mensurati e Matteo Pinci, la Repubblica 2/8

 

L’autopsia effettuata sul corpo, circa 48 ore dopo il ritrovamento, stabilì che Pantani era morto tra le 11.30 e le 12.30 di sabato 14 febbraio per arresto cardiocircolatorio, con emorragia causata dalla cocaina ingerita in dosi elevate. La nuova perizia, eseguita per conto della famiglia Pantani dal professor Francesco Maria Avato, suppone che la morte sia avvenuta circa un’ora prima rispetto a quanto stabilito dall’autopsia, tra le 10.45 e le 11.45.

Francesco Ceniti, La Gazzetta dello Sport 2/8

 


Francesco Ceniti: «La quantità di droga trovata su Pantani equivarrebbe a diverse decine di grammi, tale da essere paragonabile ai pacchetti ingeriti dai corriere per eludere i controlli», e che sarebbe «impossibile per qualunque persona mangiare o inalare una dose simile. L’unico modo è diluirla nell’acqua e farla bere a forza».

Francesco Ceniti, La Gazzetta dello Sport 2/8

 


La perizia del professor Avato racconta poi di un corpo segnato da ferite frutto di pugni e calci e poi trascinato (come sembrano confermare i boxer tirati fin sopra la vita, fuori dai jeans). «Da chi? Pantani viene trovato riverso a terra, nello stretto spazio tra il letto e il muro, in una pozza di sangue del diametro di un metro. Intorno striature che secondo il perito denotano chiaramente il trascinamento del corpo quando il sangue era ancora liquido: abbastanza per alimentare in chiunque abbia visto anche il più banale dei film gialli la certezza di altre presenze. Il corpo presentava anche numerose escoriazioni, non auto inflitte – certifica la perizia – ma sicuramente “opera di terzi”, compatibili con calci e pugni».

Marco Mensurati e Matteo Pinci, la Repubblica 2/8

 

Nella camera furono ritrovati tre giacconi, di cui uno da sci. Giacconi che – assicurano quattro testimoni – Pantani non aveva quando arrivò a Rimini.

Francesco Ceniti e Luca Gialanella, La Gazzetta dello Sport 2/8

 


I risultati dell’ultima autopsia hanno evidenziato come fossero presenti nello stomaco, al momento della morte, delle tracce di un pasto non del tutto digerito. Cibo ingerito da poche ore: chi glielo ha portato visto che quella mattina risulta non aver fatto colazione nel residence? Tra l’altro nel filmato girato dalla polizia scientifica l’attenzione è catturata da un particolare: nel cestino del bagno si vede bene la confezione di una nota marca di gelato che difficilmente poteva essere conservato nella stanza. Come è arrivato dentro l’hotel e perché non è stata esaminata la carta?.

Francesco Ceniti, La Gazzetta dello Sport 2/8

 


Un punto decisivo per la riapertura del caso è l’accesso al residence, e quindi l’ipotesi che qualcuno sia potuto entrare nella stanza di Pantani senza essere visto dal portiere. Oltre all’ingresso principale, infatti, era possibile arrivare alla camera di Pantani anche attraverso un garage, libero e non controllato da telecamere.

Marco Mensurati e Matteo Pinci, la Repubblica 2/8

 

 

Nel libro-inchiesta del giornalista francese Philippe Brunel Gli ultimi giorni di Marco Pantani (Rizzoli, 2011) si legge che il
medico che eseguì l’autopsia si portò a casa il cuore di Pantani e lo nascose in cucina,
in una scatola di biscotti, per paura che lo rubassero. La notizia non è mai stata smentita.

Gianni Mura, la Repubblica 2/8

 


«Il cuore di Marco Pantani pesa 400 grammi. Ma non è tanto il cuore a interessare i medici. Stupisce l’aspetto dei polmoni: il volume aumentato segnala la congestione che ne modifica la caratteristica consistenza spugnosa (detta “sui generis”). Da soffici che erano, gli organi sono diventati duri per la presenza di acqua e sangue. A questo punto si può avanzare l’ipotesi
dell’edema polmonare. Ma anche di un secondo edema cerebrale visto che, aperta la scatola cranica, il cervello appare rigonfio di liquidi e schiacciato sulle pareti dell’involucro rigido».

Alessandro Giuli, Il Foglio 6/3/2004

 


Per la morte di Marco Pantani si è già svolto un lungo processo che si è concluso il 9 novembre 2011 con una sentenza della
Corte di Cassazione che prosciolse uno dei tre spacciatori accusati di omicidio colposo per aver fornito a Pantani la dose letale
di cocaina. Gli altri due patteggiarono le loro pene (uno 4 anni e 10 mesi, l’altro 3 anni a 10 mesi). Una delle due persone
condannate confessò di aver fornito a Pantani la dose di cocaina la sera del 9 febbraio durante un incontro al Residence Le Rose.

La Gazzetta dello Sport 2/8

 


Il Residence Le Rose è stato totalmente ristrutturato, ora è un hotel. Marco Imarisio: «La facciata è diventata bianca, l’atrio si è allargato, giovani cameriere in divisa offrono aperitivi e stuzzichini. Alcuni bagnanti sorseggiano champagne immersi nella piscina all’aperto del centro benessere. Adesso non c’è più nulla che ricordi l’anonima pensione dove andò a morire Marco Pantani. La stanza al quinto piano dove scontò i suoi ultimi giorni non esiste più».

Marco Imarisio, Corriere della Sera 14/2

 

 

Nato a Cesena il 13 gennaio 1970, Pantani vinse tra l’altro Giro d’Italia e Tour de France del 1998 (doppietta riuscita solo a un altro italiano, Fausto Coppi) e un bronzo ai Mondiali del 1995. Carriera praticamente finita quando fu fermato per irregolarità nel sangue (ma non per positività all’antidoping) alla vigilia dell’ultima tappa del Giro 1999 (che aveva stradominato). Il ritiro nel 2003: al Giro d’Italia 2003 arrivò al traguardo e pochi giorni dopo si fece ricoverare in una casa di cura di Teolo, sui Colli Euganei. Un tentativo di disintossicarsi fallito. Gianni Mura: «Diceva che la cosa più bella non è vincere, ma restare da soli in salita dopo avere staccato tutti. Era, a modo suo, un grande attore drammatico, che seguiva un rituale preciso, quasi da samurai, quando attaccava. Difficile ritrovare una sua immagine sorridente o festante sul traguardo. Esibiva sofferenza e stanchezza, non è un caso se la sua frase più citata, parlando delle salite, sia: “Vado così forte per abbreviare la mia agonia”».

Gianni Mura, la Repubblica 2/8

 


«Nel 2004, chi ha conosciuto bene Pantani era disperato per la sua scomparsa e schiacciato dal senso di colpa per aver assistito impotente alla sua rovina. Dunque, l’ipotesi del “suicidio involontario” da overdose di cocaina era la via catartica per dare alla tragedia una spiegazione razionale e plausibile. La riapertura dell’inchiesta può farci anche molto male ma non c’è altra via» (Andrea Monti e Pier Bergonzi, direttore e vicedirettore della Gazzetta dello Sport).

Andrea Monti e Pier Bergonzi, La Gazzetta dello Sport 2/8

 


«A questo punto non ha molta importanza se Pantani si sia drogato sportivamente, per vincere, e che poi sia scivolato nell’altra droga, quella delle notti bianche e dello sballo. Mezza Italia si fermava, dai bambini alle nonne, per vederlo attaccare in salita, alla sua maniera. Lo si può criticare finché si vuole, ma dimenticarlo è impossibile. Troppo sensibile per vivere bene nei panni dell’angelo maledetto. La solitudine che cercava con tanta gioia pedalando gli è stata ultima, dura compagna. Ma se qualcuno gli ha dato una spinta per fare l’ultimo passo, è giusto che si sappia».

Gianni Mura, la Repubblica 2/8

 

Di più su questi argomenti: