Viktor Orban (foto Ap)

Quant'è illiberale la democrazia che pedala

Giuliano Ferrara

"La crisi economica e la globalizzazione dimostrano come sia possibile e auspicabile costruire sistemi politici e istituzionali che non sono più liberali in senso classico". Il paradigma di Orbán sulle nazioni con valori e posti di comando in ordine. Perché temere Renzi?

In un certo senso è pazzesco. Bisognerebbe chiuderla lì con una proclamazione di fede politicamente corretta, e stop. Viktor Orbán ha detto, parlando in un luogo romeno abitato da ungheresi (un segnale) che la crisi economica e la globalizzazione dimostrano come sia possibile e auspicabile costruire sistemi politici e istituzionali che non sono più liberali in senso classico, e forse in ogni senso, e magari anche non più democratici: modello la Russia o la Cina o la Turchia, paesi che secondo Orbán hanno tanti difetti, ma nella loro configurazione politica di nazioni pre o postliberali e pre o postdemocratiche, funzionano meglio di altri che hanno tutti i principi negoziabili a posto. Orbán non è un passante ma il capo del governo ungherese, membro dell’Unione europea, e ha due terzi di maggioranza in Parlamento; si è già impegnato in riforme alquanto controverse del profilo democratico del suo paese (Banca centrale, leggi sulla stampa, riforme del codice penale eccetera). Contro l’Ungheria conservatrice è stata orchestrata anche tanta fuffa correttista, prendendo a pretesto orrendi rigurgiti di destra fanatica a sfondo anche antisemita, e qui abbiamo cercato di distinguere o discernere e capire, ma questa è grossa. Il silenzio dell’Unione europea e del Partito popolare di cui la formazione di Orbán fa parte la rende anche grottesca.

 


Però vediamo, ragioniamo. In Italia è in atto una polemica molto farlocca e un po’ penosa sul destino della democrazia sotto Renzi e Napolitano. Era in atto la stessa sceneggiata con Berlusconi. Fu imbastito lo stesso copione con Craxi. Quello faceva pagare pedaggi e rompeva vecchi schemi demo-comunisti, quell’altro era in conflitto di interessi con sé stesso e con le istituzioni e la giustizia, Renzi è arrogante e spicciativo perché vorrebbe il voto di riforma del bicameralismo simmetrico entro l’8 agosto di quest’anno dopo trent’anni e più che se ne discute, e Napolitano usa dei suoi poteri in modo esuberante. Nel Foglio notammo, quando fu indotto con il suo consenso responsabile alle dimissioni il capo eletto del governo, il Cav., e fu sostituito da Mario Monti, un notabile tecnocrate fatto senatore a vita (impasto di modernità e medioevo delle guarentigie), che era in atto, fino a un certo punto anche dichiarato, un progetto di “depoliticizzazione della democrazia”. Ovvero la democrazia che resta (anche Putin e Erdogan sono eletti) ma sotto usbergo della tecnica o tecnocrazia, tecnodemocrazia. Magari in lotta con populismi e antipolitica, altre manifestazioni postdemocratiche. Tutto poi è finito in una vivace ma ridicola politichetta centrista, e i partiti, con Renzi e Berlusconi, si sono ripresi il pallino in mano, siamo di nuovo a una sorta di autogoverno del popolo. Ma le premesse di un governo europeo, sovranazionale, intergovernativo, non-parlamentare (ricordate l’onnipossente Abc, cioè Alfano Bersani, Casini che svuotavano velleità di opposizione quali che fossero?) non sono state del tutto rimosse. E le alternative protestatarie sanno di democrazia come i cavoli sanno di rosa. In questo senso i tromboni che sermoneggiano sulla svolta autoritaria, per banali motivi lobbistici o narcisistici, tuttavia segnalano malamente un tema che il caso Orbán, se si vorrà fare un caso del pronunciamento europeo più ardito da decenni, illustra.

 

Favorevoli? Contrari? Non siamo in rete, non siamo casaleggi. Vediamo prima di capire che cosa ci sia eventualmente di sensato dietro il contenuto scorrettissimo e pericoloso (contenti?) delle dichiarazioni del capo ungherese. Il mondo è cambiato, sta cambiando, la democrazia discutidora e i mercati aperti in molti passaggi confliggono, i governi occidentali un nuovo ordine non riescono a garantirlo, c’è l’invasione di molti ultracorpi tecnici e burocratici in atto, diciamolo, e per molte vie diverse si vede che il socialismo è morto, il capitalismo non si sente tanto bene, la democrazia ha una forte febbre, e anche noi siamo tutti un po’ stanchi.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.