Volare con gli zombies

Redazione

I “capitani timorosi” devono dare qualche garanzia a Etihad

Con una e-mail di doglianze spedita martedì all’ad di Alitalia Gabriele Del Torchio – da girare per conoscenza ai capi azienda della compagine di Cai – Etihad ha risvegliato il governo ed è arrivata al punto più problematico del salvataggio dell’ex compagnia di bandiera. “A meno che non riceviamo prova ragionevole che gli attuali ‘stakeholder’ intendono fornire il capitale necessario o altre forme accettabili di finanziamento ponte che potrebbero fornire fondi alla vecchia Alitalia, le parti non sarebbero in condizione di firmare i documenti dell’accordo”. Significa che i “capitani timorosi” dovrebbero necessariamente scucire di più dei 250 milioni di aumento di capitale sui quali si sono già accordati (il Sole 24 Ore stima fino a 350-400) per garantire la sopravvivenza della stessa Cai anche una volta fusa con Etihad nella nuova Alitalia.

 

L’ad di Etihad, James Hogan, in sostanza, non vuole trovarsi a volare con degli zombie. D’altronde Alitalia, le cui perdite non sono mai state così elevate in cinque anni come nel 2013 (oltre 500 milioni), rischia ancora una volta di finire la cassa: le perdite quotidiane di un milione di euro al giorno, così stimate nel periodo invernale, sono soltanto mitigate dal periodo estivo fisiologicamente carico di viaggiatori. In autunno inoltrato, quando l’accordo dovrebbe essere operativo, il problema si riproporrà soprattutto considerato che Alitalia ha oramai drasticamente ridotto il suo perimetro d’azione, declassata al rango di compagnia regionale, ed è peraltro frustrata dalla concorrenza crescente delle low cost sull’hub nazionale di Fiumicino, scalo chiave in Europa per le ambizioni globali di Etihad. La deadline per chiudere sarebbe oggi, ma non sono da escludere i tempi supplementari.

 

Il governo, dopo un incontro mattutino tra il vicepremier Graziano Delrio, il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, le banche azioniste (Intesa e Unicredit) e i rappresentanti di due soci importanti (Atlantia dei Benetton che ha il 7 per cento di Cai e Poste che ha il 19), dice di confidare di chiudere “in brevissimo tempo”. Ci sono però ragioni per sostenere che non va “tutto bene”, come afferma Lupi. Il problema resta la sostenibilità attuale e futura di Cai. La sferzata di Etihad ha messo certo governo, sindacati e azionisti di fronte al fatto che gli accordi presi il 1° giugno (con una lettera d’intenti non vincolante) non sono tuttora soddisfatti, anzi la trattativa s’è avvitata su questioni ombelicali rispetto all’obiettivo della sopravvivenza.

 

Ora i soci devono decidere se difendere solo le proprie posizioni, procedere alla demolizione definitiva di Alitalia e quindi completare indegnamente l’operazione tracollo cominciata cinque anni fa oppure impegnarsi, finalmente, nel rilancio. I ventidue capitalisti della cordata avevano avuto occasione di dimostrare capacità imprenditoriale. Sfida mai sostenuta con i capitali e la costanza necessari, aggravando la posizione di Alitalia e il fardello per i contribuenti. Da quasi 14 anni Alitalia necessita di un partner estero (matrimonio fallito con Klm nel 2000 e con Air France nel 2008). Ora, con Etihad, alla compagine italiana si chiede almeno di non fare il morto in casa.

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