Offrono mezza luna, vuole la luna. Il Valle occupato diventa bimbo viziato

Marianna Rizzini

Scontri verbali tra autorità e occupanti.  Il comune chiede di lasciare lo stabile entro il 31 luglio per dare avvio agli “urgenti lavori di messa a norma”, come ha detto il nuovo assessore alla Cultura Giovanna Marinelli. La gestione del Valle verrà affidata al Teatro di Roma.

Ci prova, a far ragionare gli astanti, il presidente del Teatro di Roma Marino Sinibaldi, “mediatore” tra comune di Roma e Fondazione Teatro Valle Bene Comune, ma durante l’assemblea pubblica autoconvocata dagli occupanti qualcuno gli dice “ma tu non volevi fare la rivoluzione?”. C’è il sindaco Ignazio Marino che ha insistito sulla “legalità” (anche ieri). E ci sono i tre anni di occupazione dello storico teatro pubblico (quindi dei cittadini, pure di quelli non occupanti), con beneplacito del giro “Rodotà-tà-tà”. Ci sono le proteste dei gestori degli altri teatri (quelli che pagano la Siae) e degli attori e registi non occupanti, poco propensi all’esperienza “comunarda” (dal nome che si sono dati gli autogestiti). Ci sono i premi europei (della European Cultural foundation, con tanto di principesse dei Paesi Bassi premianti) e lo sdegno internazionale bo-bò in solidarietà con gli “artisti” cui “è stato dato un ultimatum”.

 

E c’è infine una data, il 31 luglio, entro la quale il comune chiede di lasciare lo stabile per dare avvio agli “urgenti lavori di messa a norma”, come ha detto il nuovo assessore alla Cultura Giovanna Marinelli. La gestione del Valle verrà affidata al Teatro di Roma, e Sinibaldi dice: “Siamo disponibili a una cessione di sovranità”, “siamo disponibili” ad “avviare un confronto che porti alla condivisione di progetti artistici e culturali comuni”, vi garantiamo “che questo spazio rimarrà pubblico” (“sventata la privatizzazione”, dice l’ex assessore Giulia Rodano). Vi garantiamo anche la “sperimentazione di forme nuove di progettazione e di conduzione artistica e organizzativa dei “formati” che in questi anni sono stati praticati”, vi assicuriamo che non si perderà il “portato” dell’esperienza.

 

Che volete di più?, direbbe un mediatore meno gentile di Sinibaldi, cui una scatenata attivista con camicia rossa e ditino alzato, grida “non ti permettere, tu sei uguale a tutti noi”, e allora si capisce che la soluzione, pur comprensiva, non sarà mai soluzione, per gli occupanti, se non contempla l’affidamento alla Fondazione Teatro Valle Bene comune di tutto il cucuzzaro. “Noi non chiediamo una gestione in prima persona”, dicono sulle prime gli occupanti, “ma vogliamo che vengano garantiti alcuni principi”. Ma più l’assemblea va avanti, più Sinibaldi si sbraccia a dire che si troverà il modo “condiviso” di dare veste “formale a una ricchezza informale”, più gli occupanti insorgono, e non soltanto in nome dell’hashtag “#irresistibile resistenza” (quella “artistica” di “apertura del teatro” per scongiurare “lo sgombero violento” dopo il 31 luglio), ma in nome della testardaggine bambina di chi vuole la luna anche quando gli viene offerta mezza luna.

 

Gira che ti rigira un attivista parla chiaro: “Devono fare una scelta politica”, devono scegliere se pagare “l’alto prezzo” del “portare fuori” la gente mentre recita “sul palco”; “si deve riaprire la trattativa dal nostro punto di forza”. “Non vogliamo essere normalizzati”, è il grido degli autoconvocati, e “la vittoria è l’affidamento alla Fondazione” (alla quale però il prefetto non ha riconosciuto, mesi fa, la personalità giuridica). E così quella data, il 31 luglio, diventa nella “fantasia che ha il potere”, slogan del Valle, il gioco col fuoco. Ma questi occupanti “sono realmente intenzionati ad affrontare il dialogo?”, si chiede infatti il presidente della Commissione Cultura in Campidoglio Michela Di Biase, mentre un’altra attivista in assemblea chiede a Sinibaldi di “non usare il voi perché fascista” (e pazienza se quello stava soltanto usando un “voi” seconda persona plurale). E’ già teatro nel teatro: va in scena “l’irresistibile resistenza” (financo alla mediazione).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.