Vladimir Putin (foto LaPresse)

Le prove contro Putin spingono l'Europa verso sanzioni vere

Anna Zafesova

Bruxelles sanziona persone e società, ma è in arrivo la “fase 3”, un mix di isolamento finanziario ed energetico che toglierebbe fiato a Mosca, gravando sui capisaldi attorno a cui il presidente ha costruito il consenso. Più efficace di un invio di truppe e degli ordini esecutivi di Obama.

Milano. Nei campi dell’est ucraino dove è caduto, il 17 luglio scorso, il Boeing malese, la guerra continua. Le truppe di Kiev stanno puntando verso Donetsk, la città più importante della regione, e il governo ucraino accusa i ribelli filorussi di usare in modo massiccio le batterie di razzi multipli Grad. Un’altra arma che, come il missile antiaereo Buk che quasi certamente ha abbattuto il Boeing, non si trova nel mercato di contrabbando. In mezzo ai combattimenti, intanto, è saltato fuori un altro pezzo del velivolo, un rottame della fusoliera con dentro dei resti umani. I separatisti avevano detto di aver inviato in Olanda tutti i resti trovati di 298 vittime, ma i conti non tornavano. Il rottame è “spuntato fuori dal nulla”, dicono gli esperti dell’Osce, e si tratta ora di capire se fosse stato occultato intenzionalmente, e se magari proprio su quel pezzo della fusoliera ci sono i segni del missile che ha colpito l’aereo. La prova definitiva, la “smoking gun” continua a mancare, e forse non si troverà mai quel pezzo di missile con il numero di matricola che lo ricondurrebbe senza ombra di dubbio a chi ha premuto il bottone. Ma lo svolgimento stesso della guerra lascia sempre meno dubbi. I separatisti hanno abbattuto altri due caccia ucraini, e l’utilizzo dei Grad, così come le segnalazioni di attacchi di artiglieria e droni russi da oltre confine, sono una prova non meno convincente delle geolocalizzazioni indipendenti che hanno permesso di seguire il passaggio del Buk fatale fino al territorio ribelle dove giornalisti inglesi hanno trovato segni di un probabile lancio del missile.

 


Il Boeing ha segnato un punto di non ritorno. Da oggi scattano nuove sanzioni di Bruxelles contro persone e società russe, ed è in arrivo la “terza fase” che fa tremare Mosca. E, se le indiscrezioni sui suoi contenuti si riveleranno vere, sarà difficile continuare a criticare il Vecchio continente per sanzioni spuntate, sdentate e inefficienti. Il pacchetto – messo a punto con l’esasperante lentezza che contraddistingue i 28, simili nelle loro procedure a una grande corporazione rispetto alla “one man company” della Casa Bianca – dovrebbe togliere in pochi mesi a Putin ogni possibilità di fare l’uomo forte, usando l’arma letale dei mercati finanziari. Secondo il documento sbirciato dal Financial Times, a tutte le istituzioni e cittadini europei verrà proibito di acquistare azioni, obbligazioni e debito emessi dalle banche russe a controllo statale (che dominano il mercato). Meno spettacolare di un invio delle truppe Nato in Ucraina, ma molto più pericoloso: metà dei 15,8 miliardi di dollari di bond emessi dalle banche russe nel 2013 sono stati acquistati da europei. E anche gli acquirenti extraeuropei faranno più fatica: l’Ue vorrebbe proibire ai russi di collocare titoli sulle piazze del continente, di cui Londra resta la preferita. Secondo il Daily Telegraph, gli oligarchi russi stanno spostando rapidamente i loro attivi dal Regno Unito: dopo le reticenze iniziali della City, pare che gli inglesi abbiano deciso di colpire anche i magnati vicini politicamente a Putin ma geograficamente a Sua Maestà. Per ora resta fuori dalle sanzioni l’acquisto di debito pubblico russo (per evitare che Mosca per ripicca smetta di comprare quello degli europei) e gli strumenti finanziari con scadenza inferiore ai 90 giorni, il che permetterebbe alle banche russe di accedere al mercato interbancario, ma a costi ovviamente molto più alti per contenere il rischio.

 


Il senso dell’operazione, dice la bozza europea, è quello di “restringere l’accesso ai mercati di capitale riducendo la capacità di finanziare l’economia russa”. A meno che non sia il governo a elargire i fondi richiesti, ma difficilmente se lo può permettere. Le proposte di aumentare Iva e Irpef, dopo 15 anni passati quasi in un paradiso fiscale, non aiuterebbero a mantenere l’86 per cento del consenso di cui gode Putin. E intaccare le riserve valutarie potrebbe indebolire ulteriormente il rublo,  aumentando i prezzi di beni importati, soprattutto alimentari e medicinali. Perfidamente l’Ue si propone anche di “alimentare il clima di incertezza sui mercati che  accelererebbe la fuga dei capitali”, già circa 100 miliardi di dollari nel primo semestre 2014.

 

Se Mosca sopravvaluta il pacifismo europeo
E’ uno scenario apocalittico per un paese che riceve dall’estero circa il 68 per cento delle sue entrate da esportazione di materie prime e la metà di quello che consuma. Per colpire gli estremisti di un paese povero, come Hamas, servono misure essenzialmente militari; per mettere in ginocchio un’economia più sofisticata e integrata basta toccare due tasti sul pc, senza nemmeno scomporsi il nodo della cravatta. Le società russe, inclusi i giganti del capitalismo statale come Gazprom e Rosneft (che costituiscono più della metà dell’economia russa), devono quest’anno al mercato estero 191 miliardi di dollari. Alexey Vedev, analista dell’Istituto per le ricerche strutturali, dice che “la modernizzazione russa è trainata dai prestiti”, con i quali si acquista il consenso e si pagano superprogetti come le Olimpiadi di Sochi, dove la redistribuzione avviene sia grazie ad appalti e posti di lavoro, sia attraverso la corruzione. Un calcolo ironico sostiene che la strada verso il resort sciistico di Krasnaya Polyana è costata come se fosse lastricata di foie gras. Anche i risparmiatori russi hanno fatto le cicale, a differenza dei cinesi, e in più dall’inizio della crisi hanno disinvestito miliardi di rubli, convertiti in dollari e euro o messi sotto il materasso.
I russi hanno sopravvalutato il pragmatismo e “pacifismo” degli europei, e il loro attaccamento all’energia russa. Che peraltro resta esente dalle sanzioni, che colpiranno invece uno dei punti più vulnerabili di Mosca: le tecnologie. Oltre al bando sulle armi (Fincantieri ha già sospeso la cooperazione per un sottomarino leggero destinato ai paesi emergenti) e tecnologie a doppio uso, è previsto il divieto di fornire strumenti di trivellazione petrolifera in alto mare, nell’Artico e nei giacimenti di falda. Che i russi non possono rimediare dai Brics, e che all’Ue costerebbero soltanto 150 milioni di euro di contratti persi. Se Bruxelles farà quello che promette, andrà ben oltre le sanzioni finora applicate da Obama.