Il paradigma del tassinaro

Giuliano Ferrara

La crisi italiana non è solo economico-finanziaria, è antropologica, di cultura. I senatori minacciano di lavorare molto per salvarsi la ghirba, straparlano di democrazia in pericolo. Ma c’è altro da fare. Riduciamo le tasse e le spese. Lavoriamo. Meno asili nido, più bambini. E’ l’ora

A Roma li chiamano tassinari. Ne incontro uno giovane e sveglio. Gli parlo della sua auto ibrida. Domando se vada bene, se l’energia elettrica sostitutiva del carburante sotto i cinquanta all’ora gli consenta di risparmiare sui costi. Mi risponde entusiasta. Dice che il risparmio è eccezionale. Esercitare la professione gli costa, per la parte decisiva dell’alimentazione del motore in città, esattamente la metà. E con quel risparmio, intorno ai trecento euro, lui ci paga le rate dell’auto ibrida. Il mezzo di produzione del reddito in regime di autorizzazione o licenza se lo paga con l’aumento del reddito dsponibile derivato dalla natura tecnologica innovativa del mezzo. Lo racconto a un altro tassinaro non ibrido, e non giovane, e tace con l’aria di uno che si senta provocato. Ecco, la questione posta ieri nel Corriere da Giuseppe De Rita che cita Benedetto Croce – “la vita si cura con la vita” – è quasi tutta qui, anche se l’editorialista e sociologo, persona molto intelligente, non se ne accorge affatto e infila la solita litania sui doveri della politica, del pubblico, sui suoi ritmi istituzionali, sul fatto che la vitalità dei renziani non basta, bisogna negoziare, provvedere, assistere, incentivare.

 

Tutto bisogna fare, e lo spazio per policies di servizio pubblico resta grande in un paese europeo del sud come l’Italia, e sono anche convinto che la sospensione dei poteri raddoppiati di una delle due Camere elettive è una grande trovata, in ballo da tempo e da realizzare costi quel che costi. E’ un po’ come l’auto ibrida: si abbattono i costi di produzione della decisione politica, e anche di quello abbiamo bisogno. Ma il paradigma del tassinaro, che un tempo sarebbe stato al centro di una ricerca del Censis e delle riflessioni sociologiche di De Rita, dice sopra tutto altro. Gli italiani sono sotto le loro stesse scarpe, si calpestano da soli con un’orgia di chiacchiere meste, di pessimismo, di vaffanculo, di scandali veri o inventati, di faziosità autolesionistiche, un Circo da galera in attesa di sempre nuovi numeri mafiosi e antimafiosi, pruriginosi e moralistici.

 

Il made in Italy è in affanno, leggo. Frenano le esportazioni, leggo. La Spagna ci mangia la pappa in testa, forse perché ha smaltito senza provvidenze eccessive e senza troppe chiacchiere bolse una fase di altissima disoccupazione e di dura crisi ristrutturante, distruttrice e creativa, invece che di chiacchiera crisaiola come da noi. La Spagna cresce il triplo di quanto si prevede da noi, e si avvia a quadruplicare, quintuplicare il tasso di incremento della sua capacità di creazione di ricchezza, con cifre di crescita che noi ce le sogniamo. Si chiama slancio. Si tratta di un riflesso da hidalgo, malgrado la fenomenale bolla immobiliare, gli aiuti europei alle banche eccetera. Si tratta di una concentrazione sulle cose che contano. E alla fine è cosa di una volontà di riscatto in cui tutti si esercitano, dalle banche borderline alle industrie messe male alle piccole e medie imprese che cercano il loro spazio, fino ai sindacati meno lagnosi e alla politica ordinata e convergente, ma sopra tutto il ceto nuovo e vecchio che investe, le regole e le deregolamentazioni che gli permettono di esistere come trascinamento e arricchimento sociale, al di là dei consumi di lusso, e di attrarre fiducia fuori dai confini con mezzi tradizionali e 2.0 di ultimissima generazione. E’ il paradigma del tassinaro.

 

Fanno anche figli discretamente, il paese non è un paese per vecchi, la movida sguscia fuori dai suoi precordi, questo è lo slancio. E’ un fatto antropologico, una crociata culturale per evitare di vivere da sopravvissuti, un crederci magari, è pur sempre il paese di Don Chisciotte e Sancho, senza prendersi mai troppo sul serio, e dunque essendo assai seri.

 

E’ questo che ci manca, una vita così cura la vita e ti consente di afferrarti per i capelli per tirarti su, invece che afferrarti per i piedi e impaludarti nella mediocrità e nel basso. Un tempo si diceva “viaggiate, imparate le lingue!”, ora ci si lagna della fuga all’estero. Non esiste un governante che abbia mai avuto il coraggio di dire agli italiani, e Renzi lo si aspetta la prova: lavorate di più, datevi da fare, non state lì a lagnarvi della mancata assistenza pubblica, create lavoro più che difendere posti. Il paradigma del tassista sa di soluzione individuale, ma è economia generale, antropologia, vocazione a vivere. Invece di abbattere dopo la chimica e l’auto anche l’acciaio, invece di prendere il sole all’ombra dei pannelli, invece di scioperare contro la chiusura di Gela mentre si vieta la ricerca petrolifera, invece di arrestare un parlamentare al giorno, invece di blaterare contro le larghe coalizioni e il decisionismo autoritario di un ragazzo generoso e attivo, tutti paradigmi di morte della patria, facciamoci un po’ di bene. Riduciamo le tasse e le spese. Lavoriamo. Meno asili nido, più genitori e più nonni, più bambini. E’ l’ora.

 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.