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Il ruolo degli informatori

Droni e “risorse umane”, così Israele fa la guerra ai tunnel del terrore

Giulio Meotti

“Aravim tovim”. In ebraico: gli arabi buoni. Sono i collaboratori palestinesi di Israele, arma più potente dello stato ebraico nella guerra di Gaza. Intanto sospesi i voli internazionali verso Tel Aviv. Nessuna tregua concordata. Il segreto sul “mostro sotto Gaza”. Il soldato israeliano “missing”.

Li chiamano “Aravim tovim”. In ebraico: gli arabi buoni. Sono i collaboratori palestinesi di Israele. Sono l’arma più potente dello stato ebraico nella guerra di Gaza. Saranno loro a decidere il risultato del conflitto. Non soltanto l’high-tech, i droni o le più sofisticate armi di Gerusalemme. Ma gli informatori che Israele sta usando per distruggere l’immensa rete di tunnel costruita da Hamas per colpire gli israeliani, anche nel loro territorio. Dall’inizio della guerra, lo scorso 8 luglio, Hamas ha giustiziato quattro di questi “informatori”.

 

Mentre è salito a ventisette il numero di soldati israeliani uccisi dai terroristi e a 583 quello dei palestinesi, c’è una espressione che ieri è tornata a ossessionare Gerusalemme: “Missing in action”. Un soldato, Oron Shaul, è dato per disperso. Hamas ne rivendica il rapimento (un nuovo caso Gilad Shalit) e in Israele si teme almeno la trafugazione del suo corpo, che i terroristi useranno certamente come baratto. La capacità missilistica di Hamas non sembra ancora intimidita: ieri altri missili sono stati lanciati sull’area di Tel Aviv, mentre molte compagnie aeree internazionali, a partire da quelle americani e francesi, hanno bloccato i voli verso Israele. Il cerchio ristretto della sicurezza del governo Netanyahu, intanto, discute su come e quanto andare avanti. Gilad Erdan, ministro delle Comunicazioni, ha lasciato intendere che Israele potrebbe mantenere una presenza militare nel nord della Striscia di Gaza. E ieri il ministro della Giustizia Tzipi Livni ha chiarito che “non ci sono opzioni per adesso per un cessate il fuoco”. Israele è anche impegnata in una campagna per spiegare i tentativi di contenere il numero di vittime civili palestinesi. Un “bisturi mediatico”. Ieri Ron Dermer, ambasciatore israeliano a Washington, ha detto che Gerusalemme “merita il premio Nobel per la Pace: soldati israeliani muoiono cosicché innocenti palestinesi possano vivere”. L’esercito israeliano diffonde ogni giorno le fotografie delle rampe di lancio dei missili di Hamas dislocate in mezzo alla popolazione di Gaza.

 

La Intelligence Newsletter scrive che a Gaza lo Shin Bet, il servizio segreto interno d’Israele, gestisce una “rete di centinaia di informatori”. Tutti i grandi capi di Hamas – Ahmed Yassin, Saleh Shehada, Abd al Aziz al Rantisi e nel 2012 Ahmed Jaabari – sono stati eliminati grazie a questi “traditori”. Israele la chiama “humint”, gestione di risorse umane. Come fa Israele a individuare i tunnel di Hamas? Grazie agli informatori. Il caso più noto è quello di Masab Yusef, il figlio di Sheikh Hassan Yousef, uno dei fondatori del gruppo terroristico palestinese Hamas, che durante la Seconda Intifada prese a lavorare per i servizi israeliani, sventando molti attentati. Oggi vive in una località sicura in California, con una nuova identità. E’ il “principe verde”.

 

“Entrano nella mente del terrorista”
Ogni tunnel di Gaza è coordinato da tutte le fazioni di Hamas. Sono divisi in quattro distretti: nord, Gaza City, il centro e il sud. C’è soltanto un terrorista a conoscere la dislocazione del tunnel. Per mantenere il segreto, il suo nome e la mappa del sottosuolo sono noti soltanto ai capi di Hamas. Scardinare questa rete, “un mostro del sottosuolo” come lo ha definito Yedioth Ahronoth, non è facile per Israele. Ha bisogno di occhi nelle strade di Gaza. Soprattutto dopo la direttiva di Hamas ai membri più anziani: “Niente cellulari”, per evitare la localizzazione da parte degli israeliani.

 

Alcuni informatori odiano l’islamismo che ha brutalizzato i palestinesi, specie paragonato al tenore di vita dei palestinesi della Cisgiordania. Altri sono semplicemente prezzolati, oppure sono accusati di crimini “immorali” nell’islam, quali l’omosessualità o il consumo di droghe. Durante la Prima Intifada (1988-1993), da 750 a 950 palestinesi sono stati uccisi da altri palestinesi perché sospettati di “collaborazionismo”, secondo un rapporto del gruppo per la difesa dei diritti umani B’Tselem. E’ stata definita “Intrafada”, l’Intifada interna al mondo palestinese. Hamas di recente ha offerto la clemenza ai collaboratori di Israele in cambio di informazioni vitali sulla sicurezza dei suoi nemici. E promette: “Il destino della Palestina sarà deciso dalla resistenza, non dagli informatori”.

 

Il generale dei paracadutisti, Herzl Halevi, ha spiegato così l’importanza di queste risorse umane: “I collaboratori ci hanno fatto scoprire le case minate e gli alberi dove avevano piantato bombe”. L’attuale ministro e già capo dello Shin Bet, Yaakov Peri, lo spiega invece così: “Non c’è sostituto alle risorse umane, una risorsa umana entra dentro le case, spesso entra nella mente del terrorista”.

 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.