Enrico Letta (foto LaPresse)

Nanodiplomazia

Come nasce il partito virtuale (e molto italiano) del giovane vecchio Letta

Redazione

L’ex premier spunta dai retroscena come l’anti-Mogherini in Europa. Verità, groupie e molte falsificazioni. Non c’entra la politica estera.

Chiamatele vedove inconsolabili. O partito virtuale di un leader altrettanto impalpabile. Parliamo dell’ex presidente del Consiglio Enrico Letta e del coro che si è alzato dai grandi quotidiani – Corriere della Sera e La Stampa in prima linea, Sole 24 Ore un po’ dietro, con Repubblica che invece non si espone – per l’arma fine di mondo che Matteo Renzi doveva brandire in Europa: la candidatura lettiana (jr.) in luogo dell’intestardirsi su Federica Mogherini, ministro degli Esteri candidato dal governo a guidare la politica estera dell’Unione europea. Apre le danze il 16 luglio l’Ansa, l’agenzia di stampa ufficiale: “Van Rompuy  propone Letta al Consiglio Ue”. Smentita. Non basta. Ecco infatti una scorsa ai titoli di ieri: “Sì a Letta, ma l’Italia non l’ha proposto” (La Stampa), “Letta avrebbe avuto buone chance, ma non è stato proposto” (Il Corriere). Fotocopia? Certo, e infatti la fonte è la stessa, e anche l’unica: Elmar Brok, europarlamentare tedesco del Partito popolare europeo (Ppe), qui “consigliere di Angela Merkel”, lì “vicino”, “vicinissimo”, “fedelissimo” della Cancelliera. Pensate se un onore simile di paginate e fotografie mai toccherà a un Tajani o un Pittella su un giornale di Francoforte e Amburgo. Alla Stampa qualche dubbio deve essere venuto che un Brok non bastasse, o il tributo a Letta non fosse adeguato: così ecco anche una foto di Herman Van Rompuy, presidente uscente del Consiglio europeo, il quale “stima molto Letta”. Il 24 Ore è più avvolgente con Stefano Folli, grande esperto di cose quirinalizie: “Il significato era chiaro: adottate voi italiani il nome di Letta, proponetelo sapendo che la sua figura offre garanzie alle cancellerie, come del resto quella di Emma Bonino, e non avrete di che lamentarvi”. Il significato sarà anche chiaro, resta il fatto che l’unico a parlare dell’ex capo del governo rimane Herr Brok, che le cancellerie smentiscono, Van Rompuy pure e nega pure il Ppe.

 

Quanto al metodo, nel 2009 Silvio Berlusconi, allora capo del governo, propose ufficialmente Tony Blair per la poltrona andata poi a Van Rompuy: gli inglesi risposero che nessuno poteva scegliere i loro candidati. Ma per il Corriere della Sera “Telemaco è tornato a mani vuote, procellosa la sua navigazione nelle acque sconosciute dell’Europa”. A via Solferino il motivo pare ovvio: Telemaco, alias Renzi, doveva puntare alla presidenza del Consiglio europeo (e che un italiano di passaporto, Mario Draghi, sia già a capo della Banca centrale europea non conta), “carica pesante per la quale è richiesto un premier o ex premier, possibilmente della zona euro, meglio ancora se parla inglese. Letta ha consenso, il profilo giusto, e in più è disoccupato”. Peccato che quella poltrona Renzi non l’abbia chiesta, né magari poteva chiederla, benché la Mogherini parli inglese ma, ahilei, non sia disoccupata. Lo stesso dibattito, sui giornali italiani, era già apparso alla fine dello scorso mese. Sempre secondo la Stampa del 27 giugno, infatti, Van Rompuy non avrebbe fatto altro che proporre il nome di Letta jr. agli altri capi di stato. Salvo poi scoprire, il giorno dopo aver proposto lunghi virgolettati di anonime “fonti diplomatiche”, che Renzi smentiva così: “Nessuno ha fatto il nome di Letta”. Però i retroscenisti…

 

Balle sull’Ucraina e memoria selettiva sulla Ue


Adesso si è arrivati a collegare la crisi israeliana e quella ucraina alla “inadeguatezza” della candidata italiana e dell’intero semestre europeo renziano: eppure la commissione Barroso scade a novembre, e fino ad allora è in carica, agli Esteri, Catherine Ashton. Resta dunque il mistero: perché la bolla mediatica intorno a Enrico Letta? E perché tanto rimpianto per un capo del governo che non ha brillato né in Italia né in Europa, dove la Commissione di Bruxelles gli bocciò per due volte la manovra finanziaria, cioè l’atto più importante di un governo? Forse Letta piaceva alla gente che piace: e dunque, appena nominato, ecco l’elenco compiaciuto dei Bilderberg, degli Aspen, delle Trilateral, delle Arel dove si muove come a casa. Ecco le biografie che lo collocano a metà esatta tra Romano Prodi e Pier Luigi Bersani, quindi erede dei post democristiani e post comunisti per bene. Ecco anche (sul Corriere) la sottolineatura del “dress code” con il quale si presenta al G8 irlandese: blazer e pantaloni chino; ma anche “il talento diplomatico sfoggiato su tutti i dossier” al G20. Lo rimpiangono i sindacati, per i quali restaurò la concertazione abolita da Mario Monti e ri-abolita da Renzi. Egualmente i manager pubblici rottamati dal rottamatore, che Letta lasciò invece tranquilli. Qualcuno se ne è lamentato con il Quirinale. Ma basta per una balla europea?

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