Jean-Claude Juncker (foto LaPresse)

Juncker accontenta tutti

David Carretta

Per il nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, questa non è l’ora “né della rivoluzione né della controrivoluzione”. Per ottenere i 422 voti della grande coalizione composta da popolari, socialisti e liberali, Juncker ha fatto concessioni a tutti: all’Europarlamento e ai governi, agli europeisti e agli intergovernativi, ai rigoristi e ai flessibilisti.

Strasburgo. Per il nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, questa non è l’ora “né della rivoluzione né della controrivoluzione”. Questa frase, più di ogni altra del discorso pronunciato ieri prima di essere confermato dall’Europarlamento alla testa dell’esecutivo comunitario, sintetizza la politica che Juncker seguirà nei prossimi cinque anni. Nonostante la crisi del progetto europeo, che ha trovato espressione nelle urne il 25 maggio, la prossima legislatura rischia di essere contraddistinta dallo status quo. L’Europarlamento ha cantato vittoria, per aver imposto il candidato di una grande famiglia politica – il Partito popolare europeo – alla testa della Commissione, nonostante le obiezioni di diverse capitali sia sul metodo sia sul nome. “E’ una giornata storica per l’Ue e un passo importante per la democrazia”, ha detto il presidente Martin Schulz. Ma l’azionista di maggioranza in Europa rimane comunque Angela Merkel: senza il via libera della cancelliera tedesca, Juncker non sarebbe mai diventato presidente della Commissione. Senza il suo consenso, Juncker avrà le mani legate.

 

[**Video_box_2**]Per ottenere i 422 voti della grande coalizione composta da popolari, socialisti e liberali, Juncker ha fatto concessioni a tutti: all’Europarlamento e ai governi, agli europeisti e agli intergovernativi, ai rigoristi e ai flessibilisti. L’unico compromesso che non è disposto a fare è con gli antieuropei: “Grazie signora Le Pen di non votare per me”, ha detto Juncker alla leader del Front national in Francia, che ne ha contestato la legittimità. Gli europeisti vecchia maniera sono stati sedotti dai richiami alle grandi figure del passato, come Jacques Delors, François Mitterrand e Helmut Kohl. Juncker ha promesso loro di “riabilitare il metodo comunitario”, perché il presidente della Commissione “non è il segretario” dei governi. Il suo esecutivo “sarà molto politico”. Ma il messaggio alle capitali è di segno opposto: “L’Europa non si costruisce contro gli stati, né contro le nazioni”, ha detto Juncker, impegnandosi al “pragmatismo come metodo”. Quanto al sogno di riformare i trattati per fare gli Stati Uniti d’Europa, “i dibattiti istituzionali ci allontanano dall’essenziale”: i cittadini non li comprendono, ha spiegato Juncker. Il quale però è “pronto a negoziare con David Cameron e altri capi di governo sulle competenze localizzate a Bruxelles che potrebbero essere rimpatriate nelle capitali”.

 

L’equilibrismo ambiguo di Juncker vale anche per l’economia. Cristiano-democratico ma sociale – “l’economia deve servire l’uomo, non il contrario”, “il sociale deve essere al cuore dell’azione europea” – Juncker ha ribadito che il Patto di stabilità non si tocca, salvo concedere un po’ di flessibilità entro paletti ristretti. La stabilità “è necessaria per la sopravvivenza della moneta unica”, ma “il Consiglio europeo ha constatato a giusto titolo che i margini di flessibilità del Patto devono essere utilizzati al meglio”. Il piano di investimenti pubblici e privati da 300 miliardi in tre anni, voluto dai socialisti, sarà finanziato da risorse esistenti e rischia di fare la stessa fine di quello da 120 miliardi del “Compact per la crescita” nel 2012. Le infrastrutture nel digitale, nell’energia e nei trasporti sono un mantra che si sta trasformando in slogan. “L’Unione dell’energia” promessa da Juncker è un bel progetto, ma risale alla prima crisi del gas tra Russia e Ucraina del 2006. Solo sull’immigrazione, il nuovo presidente della Commissione ha dato segnali di un renzismo più deciso. “Il problema non è di Malta, Grecia o Italia, ma dell’Europa tutta intera”, ha detto. Il primo test della sua capacità di leadership sarà questa sera al vertice per le nomine, quando dovrà gestire la rivolta di undici paesi contro la candidatura di Federica Mogherini a capo della politica estera dell’Ue.

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